Piangeva come un bambino per la bellezza, ma soprattutto per l’ingente valore economico di un’antica moneta che stringeva tra le mani.
Le lacrime sono di uno dei ricettatori intercettati dai carabinieri del nucleo tutela del patrimonio culturale (Tpc) impegnati nell’indagine Canusium, dall’antico nome di Canosa di Puglia (Barletta-Andria-Trani), un centro archeologico di primo piano in Puglia, che nei secoli ha subito l’influenza ellenica e ha accolto i Romani dopo la disfatta di Canne da parte dell’esercito di Annibale (216 a.C.).
Da Canosa, con gli scavi clandestini, sono state depredate monete, monili, brocche, skyphos, kantharos, lucerne e fusi in ceramica di età compresa tra il IV e il I secolo avanti Cristo che finivano sul mercato illegale dei reperti archeologici, talvolta anche battuti dalle case d’asta e diffusi in tutto il mondo.
L’uomo – secondo l’accusa – faceva parte di una “holding criminale e internazionale” con ramificazioni in Basilicata, Abruzzo, Campania e Lazio e inserita in “una economia parallela e illecita” organizzata in modo piramidale con alla base i tombaroli: erano loro che, tra Canosa e alcuni comuni della Basilicata, individuavano le aree in cui scavare e da cui portare via oggetti di valore inestimabile.
I reperti venivano poi ceduti a ricettatori “sempre più raffinati”, ha spiegato il pm di Trani Francesco Tosto, che ha coordinato l’inchiesta che ha portato all’esecuzione di 21 misure cautelari.
In 4 sono finiti in carcere – Carmine Crispino, originario di Cimitile (Napoli), Paolo Treviso di Ordona (Foggia), Antonio Tarantino di Canosa di Puglia e Paolo Carella di Lavello (Potenza) – in 12 ai domiciliari e altri cinque sono stati sottoposti a obblighi di firma e dimora. Le accuse, a vario titolo, sono associazione per delinquere finalizzata allo scavo clandestino, furto, ricettazione ed esportazione illecita di reperti archeologici e numismatici.
Complessivamente gli indagati sono 51 e nel corso dell’attività investigativa sono stati recuperati quasi 3.600 beni tra cui monete in oro, argento e bronzo di zecche magno greche, romane e bizantine databili tra il VI e il III secolo avanti Cristo recuperate anche a Lavis (Trento).
Ciascun reperto ha un valore compreso tra i 10mila e i 60mila euro. Se alla base dell’associazione ci sono i tombaroli, “c’è poi un doppio livello di ricettatori: il primo ha contatti diretti coi tombaroli, il secondo con i trafficanti internazionali”, ha detto il procuratore di Trani, Renato Nitti.
“Nell’operazione abbiamo impiegato anche i Cacciatori di Puglia che sono specializzati nella ricerca di latitanti perché, in fin dei conti, i beni culturali saccheggiati sono latitanti della cultura, sono dei ricercati particolari”, ha evidenziato Andrea Ilari, comandante del gruppo Tpc di Roma.
“La mafia dell’arte è viva e recuperare dall’estero quanto è stato trafugato è una attività impegnativa”, ha continuato il generale di brigata Vincenzo Molinese, comandante del nucleo Tpc.
L’operazione è stata definita “brillante” dal ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, il quale ha sottolineato che “la banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti si è rivelata ancora una volta uno strumento di fondamentale importanza ai fini investigativi”.
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