Il 12 maggio 2023, dalle ore 20.00, il Teatro Piccolo “Odeion” – uno dei teatri all’interno dell’area del Parco Archeologico di Pompei – ospiterà l’anteprima internazionale della nuova opera filmica dell’artista egiziano Wael Shawky (Alessandria d’Egitto, 1971) I Am Hymns of the New Temples- أنا تراتیل المعابد الجدیدة.
La proiezione del film sarà introdotta da una conversazione fra l’artista, Andrea Viliani, curatore del progetto, e Carolyn Christov Bakargiev – Direttrice del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli-Torino – introdotti da Gabriel Zuchtriegel, Direttore del Parco Archeologico di Pompei.
La produzione dell’opera – vincitrice del bando PAC – Piano per l’Arte Contemporanea 2020 promosso e sostenuto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea – è il risultato della collaborazione fra il Ministero della Cultura e il Parco Archeologico di Pompei nel contesto del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche, il primo progetto a lungo termine co-ideato da Massimo Osanna e Andrea Viliani: I Am Hymns of the New Temples rappresenta la prima opera prodotta nel contesto di questo programma dedicato alla formazione della collezione d’arte contemporanea del Parco Archeologico di Pompei, primo sito archeologico al mondo a dotarsi di un programma di lungo termine e di una collezione che valorizzano e divulgano la contemporaneità dei temi e dei valori espressi dal patrimonio archeologico italiano e internazionale.
Narratore di processi conoscitivi ed espressivi sospesi fra il documentabile e l’immaginabile, Wael Shawky esplora i modi in cui sono state scritte e raccontate le storie e analizza come esse abbiano modellato anche la realtà storica. Nelle sue opere – in cui si articolano film, disegno, pittura, scultura, installazione, performance e regia teatrale, sempre risultato di una ricerca sulle fonti storiche e letterarie – Shawky ci predispone a una posizione di consapevolezza nei confronti dei meccanismi narrativi, antichi e contemporanei, con cui sono stati interpretati e trasmessi i fatti storici, sociali e culturali e, attraversando spazio e tempo, evoca una dimensione al contempo fattuale e immaginaria della storia e della società, come se esse non fossero mai definibili una volta e per sempre, o da un solo punto di vista.
Girata nell’estate del 2022 fra le rovine dell’antica città di Pompei, colpita dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dc, la nuova opera filmica di Shawky mostra ciò che affiora alle soglie fra le diverse culture che rendono Pompei un vero e proprio teatro di narrazioni differenti ma inevitabilmente connesse. Basando la sua narrazione sulla mitologia greco-romana, e raccontandone le sovrapposizioni con gli antichi culti egizi, Shawky rimette in scena le stratificazioni delle narrazioni antiche, e come esse abbiano contribuito a riplasmare le relazioni fra storia e mito nella proliferazione delle loro ulteriori versioni (“i nomi e le forme erano numerosi, e le linee di sangue si mescolarono”).
Già fonte di meraviglia per il moderno Grand Tour occidentale, e oggetto di continue scoperte a partire dalla sua riscoperta nel 1748, e ancora oggi in corso, i resti archeologici pompeiani testimoniano quindi la complessa stratificazione delle culture e delle nature mediterranee: la Pompei antica, sede di intensi scambi commerciali, ospitava infatti non solo templi connessi alla religione greco-romana ma anche egizia (il Tempio di Iside fu dissepolto, con i suoi stucchi, statue, affreschi e suppellettili, proprio all’inizio del Grand Tour), così come ai riti misterici di Mitra, Cibele, Attis.
Cogliendo le tracce spurie di queste iconografie sincretiche, Shawky ha individuato il set mobile della sua opera filmica spostandosi fra i Praedia di Giulia Felice, la Casa del Frutteto, l’Odeion, la Necropoli di Porta Nocera e la Basilica, il Tempio di Vespasiano (Genius Augusti) e il Tempio di Iside. E, in questa sua storia pompeiana – che l’artista racconta sulla scorta di una pluralità di storie precedenti di altri autori – non solo scopriamo di esserci già estinti e di essere già rinati – dalle inondazioni dei diluvi primordiali come dall’eruzione del Vesuvio, che colpì senza annichilire, però, le città vesuviane.
Ma scopriamo anche che colei che, in questa storia, i greci chiamavano Io, divenne in Egitto Iside, come il figlio-compagno Epafo divenne Osiride: le storie infatti si richiamano l’un l’altra e si sovrascrivono fra loro, creando templi sempre nuovi in cui continuare a proclamare i nostri inni, a raccontare le nostre storie. Shawky offre quindi una lettura ipotetica di tutti questi antichi miti, ritrovandoli incarnati nell’insieme coeso e poroso di templi, sculture, affreschi, mosaici ma anche nei fertili e fluidi paesaggi naturali vulcanici che fanno da set e da sfondo al film.
Shawky raffigura così, nella sua narrazione favolistica e multi-specie, creature ibride (dei e dee, figure immaginifiche, esseri umani, animali, minerali e vegetali) che – con una danza celebrativa e misterica, una serie di gesti rituali propri di un’esperienza mistica che sveli il fascino misterioso delle coste nilotiche e tenda al raggiungimento di una possibile salvezza epifanica – riconfigurano Pompei come un multiverso di potenzialità tanto narrative quanto storiche e come un ecosistema tanto culturale quanto naturale, disponibile alla metamorfosi e quindi anche all’interpretazione.
Massimo Osanna, Direttore Generale Musei del Ministero della Cultura e co-ideatore del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche, dichiara: “Il rapporto fra noi e gli antichi è qualcosa di vivo e sempre in divenire, risultato di un processo storico non solo di trasmissione – fra copie e varianti, fratture e interpretazioni – ma anche di immedesimazione, che andrebbe quindi esplorato, come fa l’artista Wael Shawky, non solo guardando all’indietro ma anche in avanti, e in profondità. Al fine di poter cogliere la costante attualità delle storie e delle materie archeologiche, in cui rivivono sensibilità e emozioni umane che al contempo ci differenziano ma ci avvicinano anche, come contemporanei, agli antichi.
L’obiettivo di progetti come il PAC – Piano per l’Arte Contemporanea e Pompeii Commitment. Materie archeologiche, entrambi matrici istituzionali del nuovo film di Shawky, è proprio quello di costruire un patrimonio culturale contemporaneo che, valorizzando le molteplici esperienze del nostro passato, sappia fondare e condividere il patrimonio culturale del nostro futuro”.
Come ricorda Gabriel Zuchtriegel, Direttore del Parco Archeologico di Pompei: “La vera archeologia è guardare con occhi sempre nuovi l’antico che già pensiamo di conoscere. Per questo il Parco Archeologico di Pompei crede fortemente nel valore del dialogo fra archeologia e arte contemporanea, dialogo capace di ascoltare le storie comuni, avvicinando fra loro i termini geografici e cronologici di una storia, in cui raccontare l’antico vuol semplicemente dire raccontare il contemporaneo a noi”.
Andrea Viliani, che ha curato il progetto nel contesto del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche, dichiara: “La nuova opera filmica di Wael Shawky è il racconto epico del bisogno umano di inventare, raccontare e tramandare storie, attraverso le quali gli esseri umani hanno dato e continuano a dare un possibile senso al mondo, in cui convivono con tutte le altre specie e con gli altri esseri umani. Un bisogno che forse proprio il racconto, il mito, la leggenda riescono a definire ancor più in profondità della cronaca storica. Ne emerge il profilo di un essere umano inteso non tanto come una creatura storica, e quindi realistica, quanto come una creatura impregnata di fabulazione narrativa, costantemente rigenerata dagli innumerevoli racconti con cui elaborare la necessità di dare un nome, un corpo, un volto a ciò che ignora, a ciò che teme e a ciò che desidera, alla sua stessa pulsione alla conoscenza, di rapportare il macrocosmo e il microcosmo, di riconoscere l’incessante implicazione fra materiale e spirituale, culturale e naturale, così come di elaborare l’inevitabile intreccio fra distruzione e ricreazione. L’antica città di Pompei, apparentemente distrutta, divenuta un sito leggendario ma poi riemersa dalle sue stesse rovine, si presenta quindi come il set esemplare per la nuova opera dell’artista”.
I Am Hymns of the New Temples rappresenta, in questo senso, non solo una continuazione della ricerca dell’artista sulla mitologia greco-romana e su come essa abbia circoscritto la nostra interpretazione contemporanea, fondamentalmente eurocentrica, del mondo – come narrato nel film Isles of the Blessed (Oops!…I forgot Europe), 2022, in cui seguiamo la storia di Cadmo e Armonia inviati da Zeus, che vuole sedurre Europa, sorella di Cadmo, portandola a Creta, dove la leggenda narra che abbia offerto il suo nome al continente omonimo. Ma il nuovo film rappresenta anche il culmine della ricerca fra arte e cinema avviata dall’artista con le precedenti trilogie Cabaret Crusades (The Horror Show Files, 2010; The Path to Cairo, 2012; The Secrets of Karbala, 2015) e Al Araba Al Madfuna (2012-2016). In queste opere fimiche Shawky aveva già messo in rapporto eventi e personaggi della tradizione medio-orientale ed egiziana con una contemporaneità scossa da contrasti apparentemente irresolubili: nel primo caso raccontando le vicende delle Crociate dalla prospettiva storiografica araba e utilizzando marionette al posto dei personaggi storici; nel secondo caso affidando a bambini travestiti da adulti il racconto delle antiche tradizioni del villaggio Al Araba Al Madfuna nei pressi di Abydos (capitale del regno faraonico dell’Alto Egitto).
Per la prima volta, però, in I Am Hymns of the New Temples, Shawky non solo introduce nella narrazione anche alcuni animali, come il coccodrillo e l’ippopotamo spesso raffigurati nelle scene nilotiche degli affreschi pompeiani, ma mette in scena coreografie eseguite dal vivo negli scavi archeologici da performer che – prendendo il posto delle marionette utilizzate nelle opere precedenti – indossano machere in ceramica o carta pesta e costumi multi-materici, realizzati dal ceramista Pierre Architta e dai laboratori del Teatro di San Carlo e dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, impiegando anche i tessuti dell’antica seteria di San Leucio e altri tessuti prodotti da storiche manifatture tessili italiane che assumono, con i loro pattern decorativi, la valenza pittorica di un tableau vivant ritmicamente animato, come in una processione sacra o un rito iniziatico, dai movimenti coreutici dei performer.
In continuità con tutte le sue opere precedenti, ancora una volta Shawky fa emergere dagli eventi narrati le dinamiche ancestrali che li hanno trasmessi fino a noi e riscrive quella Storia collettiva che solo le tante storie singole e la dimensione della favola possono, forse, restituirci, nella sua contraddittoria verità e irredimibile umanità. Come ha affermato l’artista stesso, il suo desiderio, nel raccontare questa sua nuova storia, è quello che essa appaia, come tutte le altre che ha raccontato, “sufficientemente precisa nei dettagli, da poter sembrare che essa esista realmente, da qualche parte” e in qualche momento nello scorrere del tempo… passato, presente e (o) futuro.
L’opera – scritta e diretta da Wael Shawky, autore anche della partitura musicale – è stata curata da Andrea Viliani, con supervisione alla produzione da parte del Responsabile Unico di Progetto Silvia Martina Bertesago, Funzionario archeologo del Parco Archeologico di Pompei, e il supporto scientifico e organizzativo di Anna Civale (per il Parco Archeologico di Pompei) e Laura Mariano con Stella Bottai e Caterina Avataneo (per Pompeii Commitment. Archaeological Matters).
La produzione generale del progetto è coordinata da Giorgia Rea (Italia) e la post-produzione e le riprese in Egitto da Tamer Nady (Egitto). La produzione esecutiva delle riprese in Italia è di Davide Mastropaolo (Audioimage).
Istituzione partner per la valorizzazione internazionale dell’opera è il LaM-Lille Métropole Musée d’art moderne, d’art contemporain, d’art brut, che presenterà l’opera nel contesto di una mostra personale nel 2024.
Le istituzioni italiane che hanno collaborato alla realizzazione dell’opera sono Fondazione Teatro di San Carlo e Accademia di Belle Arti di Napoli.
Hanno inoltre partecipato alla produzione dell’opera la Galleria Lia Rumma, Milano/ Napoli, Massimo Moschini e Olimpia Fischetti, Silvio Sansone, Annamaria Alois (San Leucio), Caterina Fabrizio (Dedar), Ferdinando e Giuseppe Botto Paola (Lanificio Botto), Chicco D’Amici (D’Amici Srl).
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