Si è chiusa ieri, dopo oltre due anni, l’istruttoria del processo di secondo grado (iniziato il 7 gennaio 2021) sull’incidente stradale avvenuto sull’A16 dove, la sera del 28 luglio 2013, all’altezza di Monteforte Irpino, in provincia di Avellino, si verificò una strage: un bus precipitò dal viadotto Acqualonga provocando quaranta morti.
Tra le cause, secondo quanto emerso durante il processo di primo grado, figura anche l’impianto frenante malfunzionante a causa dei danni arrecati da alcune parti della trasmissione del bus separatesi per la rottura di alcuni perni di serraggio. Una novità è emersa durante le fasi del processo di secondo grado e cioè che quei perni si sarebbero potuti rompere a causa dello scorretto serraggio praticato senza l’utilizzo di una speciale chiave, chiamata dinamometrica.
Una ipotesi avanzata dalla difesa di Gennaro Lametta, l’avvocato Sergio Pisani che ha anche presentato come prova difensiva la registrazione di una conversazione. La circostanza ha spinto i giudici a chiamare a testimoniare anche un meccanico, collaboratore del titolare dell’officina dove venne eseguito l’intervento alla trasmissione, il quale riferì anche che il bus rimase tre giorni in quell’officina, per gli interventi di manutenzione.
Prossima tappa del processo sarà la requisitoria del sostituto procuratore generale, che è stata fissata per il 20 aprile prossimo, nell’aula bunker del carcere napoletano di Poggioreale
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