Varlese Ferdinando e Marigliano Consiglia, entrambi imprenditori napoletani, furono accusati del reato cosiddetto di intestazione fittizia rispetto alla società Tecnodem srl, la quale aveva eseguito le proprie opere nella realizzazione del Ponte Morandi.
La grave ipotesi tracciata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli era anche quella di aver posto in essere le condotte illecite per agevolare un clan camorristico.
Il lavoro degli inquirenti fu premiato sia in primo che in secondo grado all’esito dei quali Varlese Ferdinando, con l’aggravante dell’essere recidivo reiterato e specifico, fu condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, mentre Marigliano Consiglia fu condannata alla pena di anni uno e mesi otto, con il beneficio per quest’ultima della sospensione condizionale della pena.
Ma, allorquando il processo è approdato in cassazione, la difesa, rappresentata dal cassazionista Dario Vannetiello del Foro di Napoli, è riuscita a capovolgere totalmente il risultato.
Infatti, la seconda sezione della Suprema Corte, nonostante il Procuratore Generale avesse chiesto il rigetto del ricorso, in totale condivisione degli argomenti giuridici elaborati dal penalista, ha annullato le due sentenze di condanna ed ha disposto che dovrà procedersi ad un nuovo giudizio innanzi alla Corte distrettuale.
L’esito è sorprendente atteso che, al momento dell’arresto Varlese, ammise gli addebiti innanzi al Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, ottenendo. grazie alla confessione, gli arresti domiciliari.
Alla luce della favorevole decisione la difesa potrà chiedere la revoca della misura cautelare dell’obbligo di dimora in Rapallo (Genova) a cui è sottoposto l’imprenditore.
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