Gianni Minà aveva pensato a tutto, amava così tanto il suo lavoro da volerlo tutelare per tramandarlo, farlo godere a chi di certi personaggi e di certa epoca aveva solo lontanamente sentito parlare.
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Cosa resterà degli incontri mitici con il subcomandante Marcos, Mohammed Alì, Fidel Castro, il Dalai Lama, Diego Maradona e di quell’agendina tanto invidiata da Massimo Troisi, quell’eccezionale elenco di numeri in cui trovavi pure quello di Gesù?
“Niente andrà perduto, proprio come lui stesso fino all’ultimo voleva: ha lavorato fino a pochissimo tempo fa per preparare tutto”, dice Andrea Conforti, vicepresidente della Fondazione Gianni Minà, appena nata nel gennaio scorso.
“Il suo, si sa, era un immenso archivio video e audio, migliaia di ore, aveva oltre 100 ore di materiale inedito e il suo sogno era di trasferire tutto in digitale per renderlo accessibile, soprattutto ai giovani”, prosegue.
E per questo nel giugno scorso aveva avviato una campagna di raccolta fondi sulla piattaforma Produzioni dal Basso per realizzare l’ambizioso progetto Minà’s Rewind, “sorpreso e gratificato poi – prosegue Conforti – della grande risposta delle persone comuni a dare i soldi”.
Negli ultimi tempi, rispetto a questo suo progetto, era amareggiato con la Rai, che pure ha 1400 ‘oggetti’ in Rai Teche? “Non parliamo di questo, diciamo che lui voleva tutelare questo patrimonio per il futuro, era la sua eredità ai giovani e il suo sogno e noi – prosegue con accanto la vedova del giornalista, la regista Loredana Macchietti, presidente della Fondazione e sua prima collaboratrice – andremo avanti nel suo nome”.
Conforti annuncia che “già alla fine di maggio uscirà postumo il suo ultimo libro, Fame di storie, e ci sarà una mostra fotografica su tutta quella che è stata la sua vita professionale. Entrambi vedranno il debutto a Napoli, la città che era nel suo grande cuore buono, che lo aveva nominato cittadino onorario”.
L’idea di questo progetto di archivio digitale era nata 7-8 anni fa, “inizialmente – racconta – Gianni era diffidente rispetto al web, era, certo, di un’altra generazione, poi ha visto che se utilizzate bene le piattaforme online possono svolgere una grande funzione culturale, così mise insieme uno staff di sei persone e si lanciò nel progetto che poi è diventato a gennaio una Fondazione con lui presidente onorario”.
Minà e i social: un rapporto d’affetto. “Utilizzava Facebook per pubblicare articoli, su Instagram sceglieva personalmente le foto del suo archivio e dettava i post e poi si faceva leggere i commenti. E’ un caso eccezionale il suo: nessun hater, nessun veleno nei suoi social ma solo tanto amore”.
“Le persone, quelle della sua epoca cresciute con le sue interviste e i suoi programmi, quelli che ne hanno solo sentito parlare, sapevano chi era: un grande giornalista, certo, con una curiosità immensa, ma anche un uomo dal grande cuore, sempre dalla parte dei più deboli”.
E’ stata sua la scelta dei funerali privati? “Sì, ma chi vorrà dare l’ultimo saluto sarà il benvenuto domani al Campidoglio alla camera ardente”.
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