“Se ci sono malesseri forti, vi chiediamo di segnalarceli – ha detto il rettore dell’Università “Federico II”, Matteo Lorito, commentando la morte della studentessa 27enne di Somma Vesuviana, Diana Biondi.
E poi ha aggiunto: “Non siamo solo erogatori di didattica ma vogliamo aiutare ancora i nostri più deboli e fragili. E’ una perdita enorme perché quando si spegne una giovane vita è sempre un fatto enorme”.
“La vostra università uccide. Ci dispiace Diana”, ha scritto su uno striscione il Collettivo autorganizzato universitario. Intanto resta la morte, quella dei sogni di Diana e di Riccardo.
Eppure Diana aveva fatto sapere in giro, compreso ai genitori e alle amiche che era tutto pronto. O almeno così pensavano tutti. Voleva laurearsi in lettere moderne e martedì scorso quel giorno era finalmente arrivato. La data della cerimonia c’era, quella della festa pure.
Ma a Diana mancava un esame, quello di latino. Lo sapeva lei, le sue amiche di corso. Ma tutto il resto del suo mondo, la famiglia, il fidanzato, quel tassello mancante lo ignoravano. E così, forse, Diana non ce l’ha fatta ad ammettere che il giorno successivo non ci sarebbe stata nessuna laurea.
E si è uccisa, a 27 anni, buttandosi giù da un dirupo a Somma Vesuviana, in provincia di Napoli. Una storia, la sua, drammaticamente identica a quella di altri ragazzi. Storie che si ripetono, dunque. Diana l’hanno cercata per tre giorni. Suo padre ha capito subito che qualcosa non tornava.
Diana è una ragazza tranquilla, ha ripetuto ininterrottamente in queste ore. E così, quando ha iniziato a non rispondere alle sue telefonate, ha denunciato la sua scomparsa ai carabinieri, ha scritto nella chat dell’università, ha descritto come era vestita sua figlia l’ultima volta che era uscita da casa, ha fornito tutti i dettagli possibili.
Dettagli come quelli degli ultimi messaggi whastapp che la ragazza ha inviato al papà. Dopo l’ennesima telefonata, Diana aveva scritto che si sarebbe recata in biblioteca dell’università Federico II, per ritirare la tesi, e che sarebbe rientrata a Somma Vesuviana con il treno delle 16 di Napoli.
Ma su quel treno non è forse mai salita. E in quella biblioteca forse non è mai entrata, visto che nelle immagini delle telecamere dell’università il suo volto non compare mai. C’è stato, poi, l’ultimo messaggio: “Non posso parlare”. E dopo il silenzio, l’angoscia ed una borsetta nera attaccata ad una ringhiera.
A pochi metri da quella borsetta, c’era il corpo di Diana. Un corpo, con i sogni morti dentro. E’ stato un messaggio di una amica di corso di Diana a far luce su quello che poteva esserci in fondo a quel dirupo: “Aveva raccontato che andava a ritirare la tesi, ma non doveva ancora laurearsi”.
Da lì le indagini dei carabinieri e la scoperta del tassello che mancava a quei 27 anni di vita.
“Ancora una volta un suicidio, ancora una volta una ragazza che non trova via d’uscita e non regge la pressione delle aspettative, della competizione, della necessita’ di essere bravi e performanti. Tutta la nostra vicinanza alla famiglia di Diana, morta suicida nel giorno del suo compleanno perche’ aveva mentito sulla data della sua laurea”. Lo afferma Elisabetta Piccolotti dell’Alleanza Verdi Sinistra sulla tragica vicenda che ha coinvolto una studentessa della Federico II di Napoli.
“Le nostre universita’ devono saper ascoltare i bisogni e le necessita’ dei ragazzi – prosegue l’esponente rossoverde della commissione cultura di Montecitorio – sarebbe fondamentale avere figure di riferimento per la cura delle loro fragilita’ e della loro salute mentale. Un psicologo in ogni facolta’ sta diventando una necessita’ per tante e tanti.
Ma serve di piu’, bisogna ripensare la comunita’ educante come il luogo di incontro di specialisti e professionalita’ diverse, capaci di offrire cura e ascolto a tutto campo. Sono temi su cui ci stiamo gia’ impegnando in Parlamento, anche con proposte di legge. Se non ci occupiamo dell’equilibrio emotivo degli studenti – conclude Piccolotti – di fatto non ci stiamo occupando nemmeno della qualita’ della formazione”.
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