E’ legata ad una istanza di alcune centinaia di pagine la possibilità, forse l’ultima, di arrivare ad una verità giudiziaria sulla morte di Pier Paolo Pasolini avvenuta all’Idroscalo di Ostia, sul litorale di Roma, il 2 novembre del 1975. Un documento che da oggi è all’attenzione dei magistrati capitolini e redatto dall’avvocato Stefano Maccioni che a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti.
L’elemento fondante dell’istanza è legato ai tre profili di Dna individuati nel 2010 dai carabinieri del Ris sui reperti trovati sulla scena del crimine. All’attenzione dei pm romani anche le dichiarazioni di Maurizio Abbatino, esponente della Banda della Magliana, relative al “movente” dell’omicidio e in particolare alle ‘pizze’ del film ‘Salò, le 120 giornate di Sodoma’ che erano state sottratte a Pasolini. I ricorrenti non hanno dubbi: quella notte all’Idroscalo di Ostia, Pino Pelosi, il 17enne riconosciuto come responsabile dell’omicidio con sentenza passata in giudicato a 9 anni e 7 mesi, non era solo.
“Ci sono almeno tre tracce, tre ‘fotografie’ di persone – afferma Maccioni – e ciò giustifica il perché, dopo quasi 50 anni, è ancora possibile arrivare ad una verità giudiziaria. Una verità che si baserebbe su dati scientifici, sulla presenza di tre profili genetici: da qui si deve partire per svolgere le indagini per accertare a chi appartengono”. Il lavoro sui Dna individuati era stato compiuto anche nell’indagine poi archiviata. Si tratta di accertamenti svolti sugli abiti che Pasolini indossava la notte della tragedia che portò all’individuazione di cinque tracce di Dna a cui però non fu possibile dare “un nome”.
“In quella indagine si è fatto un lavoro importante ma parziale, vennero esaminati circa 30 Dna ma oggi è tempo di fare verifiche più diffuse tenendo presenti anche le dichiarazioni di Abbatino, detto Crispino, che alla Commissione Antimafia dà una giustificazione sul perché Pasolini si recò all’Idroscalo di Ostia: non era lì per consumare un rapporto sessuale occasionale con Pelosi, con il quale lo scrittore aveva una relazione da alcuni mesi, ma per riottenere, in cambio di denaro, le ‘pizze’ di ‘Salò’ che gli erano state sottratte e a cui teneva tantissimo”. Crispino ha raccontato di avere effettuato il furto delle ‘pizze del film su commissione.
Le pellicole erano state trafugate nel Ferragosto del ’75 in un capannone di Cinecittà. Negli atti della Commissione antimafia si fa riferimento anche al lavoro di ricerca della giornalista Simona Zecchi e in particolare il suo colloquio con Nicola Longo, un ex poliziotto che era stato poi in servizio presso il Sismi. L’ex agente le avrebbe raccontato di aver avuto un ruolo importante nel recupero di quel materiale rubato: “si trattò di un furto che sarebbe stato all’origine dell’incontro notturno all’Idroscalo di Ostia in cui perse la vita il poeta e regista. Secondo questa ricostruzione, in tale circostanza, Pasolini si riprometteva di poter recuperare la pellicola originale che comprendeva alcune scene del suo film le quali altrimenti sarebbero risultate irrimediabilmente perdute”.
Per Maccioni, Grieco e Giovannetti, Pasolini venne sostanzialmente “condotto in una trappola a Ostia, utilizzando Pelosi come una sorta di esca, e lì venne aggredito a morte. Nell’istanza forniamo molti elementi, tante tessere che i magistrati devono mettere insieme. I pm convochino Abbatino”. Per i tre i mandanti dell’assassinio sono da ricercare nel romanzo Petrolio, l’opera di Pasolini rimasta incompiuta e pubblicata solo nel 1992. “E’ scritto lì, sono lì i nomi dei mandati”, afferma Grieco.
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