Una percentuale compresa tra il 20% e il 40% dell’anidride carbonica emessa nell’area dei Campi Flegrei proviene da sorgenti non-magmatiche e questo valore è in progressivo aumento dal 2005, con tassi di crescita simili a quelli dell’incremento della temperatura del sistema idrotermale.
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Questi i risultati dello studio ‘Discriminating carbon dioxide sources during volcanic unrest: The case of Campi Flegrei caldera (Italy)’, pubblicato dalla rivista Geology e condotto da un team di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).
“La caldera dei Campi Flegrei – spiega Lucia Pappalardo, ricercatrice dell’Ingv – emette ogni giorno ingenti quantitativi di anidride carbonica (CO2). I flussi di questo gas sono principalmente concentrati nei pressi del cratere della Solfatara di Pozzuoli e sono progressivamente aumentati nel corso della recente crisi bradisismica, iniziata nel 2005, fino a raggiungere l’attuale livello di 3000-5000 tonnellate al giorno. Un valore che rende la caldera flegrea uno tra i principali emettitori al mondo di anidride carbonica di origine vulcanica”.
L’anidride carbonica è la seconda specie volatile contenuta nel magma dopo l’acqua, e ciò ha fatto spesso rilevare un massiccio rilascio di CO2 nei periodi precedenti gli eventi eruttivi. Tuttavia, la sua origine non è esclusivamente riconducibile al magma, specie presso le caldere che ospitano estesi sistemi idrotermali come i Campi Flegrei.
Pertanto, un’accurata indagine e quantificazione sull’origine dei flussi di CO2 nelle aree vulcaniche attive, oltre che all’elio e all’azoto, è fondamentale per ricostruire cosa stia accadendo nel sistema magmatico profondo e in quello idrotermale più superficiale.
Lo è in particolare per i Campi Flegrei che, a seguito dell’ultima eruzione di Monte Nuovo avvenuta nel 1538, ha vissuto una fase di quiete interrotta dalle recenti crisi bradisismiche del 1950-52, del 1970-72 e del 1982-84, fino a quest’ultima cominciata nel 2005.
“Il recente studio – prosegue Gianmarco Buono, ricercatore dell’Ingv – ha consentito di stimare che fino al 40% dell’anidride carbonica emessa abbia origine dalla dissoluzione della calcite idrotermale presente nelle rocce del sottosuolo flegreo, mentre la restante parte deriva da sorgenti magmatiche profonde”.
Confrontando i dati fumarolici con quelli ottenuti con simulazioni di degassamento magmatico, è stato possibile stimare che una quota compresa tra il 20% e il 40% della CO2 emessa in quest’area sia rilasciata da sorgenti non-magmatiche.
Il valore dell’anidride carbonica emessa da queste sorgenti non-magmatiche dai Campi Flegrei “sta progressivamente aumentando dal 2005 con tassi di crescita – prosegue Giovanni Chiodini, ricercatore dell’Ingv – sorprendentemente simili a quelli dell’incremento di temperatura del sistema idrotermale.
L’origine di questa fonte supplementare di CO2 è da ricercare nelle importanti perturbazioni fisiche e chimiche che sta subendo il sistema idrotermale flegreo, manifestate dal crescente numero di terremoti superficiali e innalzamento del suolo”.
“In dettaglio, a guidare questo processo è – ancora Chiodini – la conversione della calcite, precedentemente rilevata in abbondante quantità nel sottosuolo flegreo, in anidride carbonica a seguito della circolazione di fluidi caldi e acidi nelle rocce che ospitano il sistema idrotermale”.
Lo studio, conclude Buono, “è parte del progetto strategico dell’Ingv LOVE-CF (Linking surface Observables to sub-Volcanic plumbing-system: a multidisciplinary approach for Eruption forecasting at Campi Flegrei caldera – Italy) e offre un approccio utile anche per altri sistemi vulcanici. La ricerca proseguirà con la quantificazione dei flussi di anidride carbonica emessi in ambiente sottomarino, finora rimasti inesplorati”.
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