“Rose rosse per te ho comprato stasera e il tuo cuore lo sa cosa voglio da te…”, canta ancora oggi – dal 1970 – Massimo Ranieri. Ma da allora a oggi le cose sono cambiate, forse si può pensare al massimo a una rosa a stelo lungo e non a più d’una, per una semplice ragione di tasca: il costo delle rose continua a salire, sentirsi chiedere 10 euro ciascuna non è una novità, ed anzi si arriva anche oltre.
Specie se l’omaggio floreale lo si acquista all’ultimo momento, la legge della domanda e dell’offerta si fa sentire anche in questo giorno di San Valentino. Bella ricorrenza ma – verrebbe da dirsi – quanto mi costa la festa degli innamorati, visto che alla rituale confezione di cioccolatini e alla cenetta – eventualmente a lume di candela, ma a trovarlo un tavolo per due in un locale pubblico in un giorno come questo – va aggiunto appunto l’omaggio floreale.
E per tradizione si pensa subito alle rose, rigorosamente di colore rosso per sottolineare la passione. E cosi’ finisce che arrivati davanti al chiosco dei fiori ci si guarda intorno e si comincia a pensare che tutto sommato e’ bello regalare anche qualcosa di diverso nella forma e nel colore, il significato non cambia, sperando che anche chi riceve l’omaggio la pensi allo stesso modo…
Questa tendenza il settore della floricoltura italiana la sta registrando e si attrezza sempre più per soddisfare il nuovo orientamento della clientela. Anche perché ormai gran parte delle rose arriva dall’estero, più precisamente dall’Africa (Kenya ed Etiopia) e dal Sudamerica (Ecuador e Colombia), a prezzi decisamente più bassi, grazie a un ridotto costo della manodopera e grazie al clima caldo che non rende necessario – come da noi – il ricorso a serre riscaldate, peraltro di questi tempi anche con il rincaro dei costi dell’energia.
Per il floricoltore nostrano diventa pressoché impossibile restare sul mercato delle rose, ovvero rientrare nelle spese e farci il legittimo utile. Se poi ci si aggiunge l’episodio visto una settimana sul palco dell’Ariston, dove Blanco ha preso a calci i fiori, allora lo scoramento cresce.
In Italia il florovivaismo rappresenta il 5% della produzione agricola, conta 27mila aziende e 100mila addetti, di cui 20mila coltivano fiori e piante in vaso e 7mila sono vivai. Il comparto intero vale 2,5 miliardi di euro, con cinque regioni che intercettano l’80% della produzione nazionale: innanzi tutto la Liguria – specie la provincia di Imperia, e basti pensare proprio all’area di Sanremo -, che copre il 31% del totale, la Campania con il 16%, la Toscana con il 13%, la Puglia con l’11% e la Sicilia con il 10%.
La Cia-Agricoltori Italiani evidenzia, attraverso la propria associazione di florovivaisti, che oggi nei bouquet tende quindi a prevalere la confezione, con surplus di verde reciso. Con il rincaro delle rose si può, dunque, stimare per contro una maggiore vendita di prodotto nazionale (+20%) grazie soprattutto al ruscus e all’eucalipto, venduti all’ingrosso a 10 euro/kg. E si prevede anche un +20% di vendita per bouquet misti in cui prevale prodotto tipico made in Italy, con composizioni più voluminose e dal costo medio di 20 euro, tra iris, ranuncoli, fresie, anemoni, gerbere e garofani (da 1,5 ai 2 euro del ranuncolo clone, il piu’ pregiato).
In Italia il settore del fiore reciso è particolarmente legato (a differenza del Nord Europa) alle ricorrenze: da San Valentino alla festa della donna, la festa della mamma, e anche il giorno dei defunti, DATE che significano oltre il 50% degli acquisti annui di fiori. Quest’anno, poi, non bastasse la già agguerrita concorrenza dei produttori africani e sudamericani, ci si è messo anche il freddo intenso che ha bloccato le produzioni di fiori nostrani, E c’è quindi ancor più carenza di rose, con la concorrenza estera che ha buon gioco.
“E’ dal 1995 – dice Mariangela Cattaneo, presidente di Cia-Agricoltori di Imperia, zona che conta ben 4mila florovivaisti – che il numero di produttori italiani di rose ha cominciato a conoscere la crisi perché non si riusciva, e non si riesce tuttora, a stare sul mercato. Ne sono rimasti ormai pochissimi in attività, la globalizzazione ha coinvolto, negativamente, questo settore, anche la floricoltura non è rimasta esente dagli effetti della globalizzazione”.
Per assurdo un segnale di inversione di tendenza si è avuto durante il periodo della pandemia: gli aerei cargo con le rose dall’Africa e dal Sudamerica non arrivavano, e allora il prodotto italiano ha avuto un ritorno economico.
E’ stata una sorta di Eldorado, “ma poi siamo tornati alla fase pre-Covid…”, cioè al predominio estero nella fornitura di rose per il mercato italiano. Tutto questo ha comportato che ancora di piu’ il floricoltore italiano si orientasse verso altro, riconvertendosi al ranunculo, all’anemone, alle piante bulbose che sono molto sostenibili dal punto di vista ambientale, come la gran parte della produzione di fiori recisi.
Tanta produzione di fronde verdi – specie eucaliptus, “bisognerebbe puntare – aggiunge Cattaneo – su prodotti tipici, legati al territorio, che siano anche meno costosi, che richiedano meno serre riscaldate e capaci inoltre di assicurare una maggiore e più costante disponibilità per il consumatore”.
Il ranuncolo, ad esempio, lo si può coltivare da ottobre a maggio, è un periodo lungo, è fiore dalle diverse varietà, “è interessante, è un bello, dai tanti colori, sostenibile per noi produttori”. E questo si sta facendo strada anche nel consumatore, complice il fatto che per l’appunto le rose al dettaglio costino non poco.
“Diciamo che una rosa a stelo lungo viene venduta dal produttore a un costo di 2-2,50 euro, poi la si trova a un prezzo triplicato, se non di più, nella vendita al dettaglio. Cosa succede intorno alla filiera?”, si chiede Cattaneo. Già, che accade? “…con l’ultima speranza stasera ho comprato rose rosse per te”, aggiungeva Ranieri. Ma poi, più avanti, profetizzava anche “forse in amore le rose non si usano piu”…”.
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