Al liceo Genovesi Da Vinci di Salerno la presentazione del libro: “Pasolini. Un caso mai chiuso” di Stefano Maccioni, l’avvocato che ha ottenuto la riapertura delle indagini.
Nell’Aula Magna dell’ISS “Genovesi-Da Vinci” di Salerno, stamane c’è stata la presentazione del volume “Pasolini, un caso mai chiuso” (Round Robin Editore) scritto dall’avvocato Stefano Maccioni ed incentrato sul delitto dello scrittore, poeta e regista Pier Paolo Pasolini avvenuto nella notte tra il 1 e il 2 Novembre 1975, un delitto tutt’oggi rimasto impunito e su cui mai si è fatta vera luce e le cui circostanze non sono mai state del tutto chiarite.
L’ evento è stato organizzato in stretta sinergia con il Distretto Lions 108YA, con il Distretto Leo 108YA e con la Fondazione Cassa Rurale di Battipaglia che è partner dell’iniziativa.
Con l’autore ha discusso il giornalista Stefano Pignataro accompagnato dagli interventi dei presenti. Ha moderato l’incontro la professoressa Pina Masturzo.
Stefano Maccioni, avvocato penalista e autore. Nel 2009 ha richiesto e ottenuto la riapertura delle indagini sull’omicidio Pasolini. È stato componente della Commissione Ministeriale per la tutela delle Vittime di reato. Premiato dal Consiglio dell’ Ordine degli Avvocati di Roma per il suo impegno sociale e civile, ha partecipato come difensore di parte civile a numerosi processi tra i quali: l’omicidio di Stefano Cucchi, la strage di Viareggio, “Mafia capitale”, “Sangue infetto” e l’ omicidio del vice brigadiere Mario Cerciello Rega.
Il libro ripercorre le vicende più controversie e mai chiarite sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Un viaggio immersivo tra i vecchi fascicoli, quasi dimenticati, che riporta cronologicamente indietro nel tempo di circa 50 anni. Sono molte le prove documentali e le testimonianze raccolte e messe a disposizione degli inquirenti.
“Questa è una storia che fa parte del nostro paese, un caso chiuso frettolosamente e che richiede ancora una verità – ha detto l’avvocato Maccioni nel corso della presentazione del libro -. Sarò franco, oggi sono venuto qui perché intendo sfruttarvi, io ho un figlio della vostra età che darà a breve la maturità e al quale ho fatto una testa tanta in questi anni.
Per risolvere i “casi freddi” appellativo nel quale giuridicamente rientra questo, bisogna risalire al movente”.
L’autore poi ha raccontato alcuni retroscena dell’inchiesta: “In passato, gli accertamenti scientifici non furono fatti in quanto la tecnologia dell’epoca non prevedeva il prelievo dei campioni di DNA. Una delle prime domande che dobbiamo porci sul caso Pasolini è incentrata proprio sul presunto omicida Piero Pelosi. Personaggio che più volte ritrattò la sua versione qualificandosi cosi come un perfetto depistatore di questa vicenda. Il Pelosi al momento del suo fermo per la guida dell’ auto Alfa Romeo Gt contro mano, dichiarò come prima cosa di aver perso il suo anello, un oggetto di poco valore ma al quale teneva tantissimo. Le forze dell’Ordine, e questa è la cosa che più stupisce, si adoperarono subito nella ricerca di quest’ultimo. L’anello fu trovato vicino al cadavere di Pasolini, siccome all’epoca non fu possibile effettuare i rilievi scientifici, l’unica prova per incriminare una persona era la sua diretta ammissione di colpevolezza o il ritrovamento dell’ oggetto stesso sulla scena del delitto. Pelosi in seguito si dichiarò colpevole, fornendo un racconto inverosimile basato sulla legittima difesa per un tentata violenza sessuale da parte del regista.
Pasolini era un uomo dal fisico performante, uno che sapeva menare, e, a Pelosi non furono trovare tracce evidenti di una probabile colluttazione se non quella di una ferita sul setto nasale procuratasi alla guida dell’ Alfa per una frenata brusca al momento del suo fermo. A meritare attenzione è anche la testimonianza del ristoratore presso il quale Pasolini e Pelosi cenarono, egli descrisse il presunto omicida in una maniera completamente differente rispetto alla foto del sospettato”. Maccioni ha anche parlato dell’ultimo movente per la morte di Pasolini.
“Di recente hanno fatto scalpore le dichiarazioni di Maurizio Abbatino, uno dei boss e fondatori della “Banda della Magliana” che ha dichiarato di aver preso parte al furto delle pizze cinematografiche del film: Salò e le 120 giornate di Sodoma in cambio di un risarcimento che avvenne vicino all’ Idroscalo di Ostia, teatro dell’ delitto. La questione si è evoluta nel momento in cui i RIS acquisirono i reperti dell’ omicidio ed iniziarono le prime indagini scientifiche. Da queste è emerso che sulla scena del crimine sono stati trovati ben 3 profili di DNA, quello di Pelosi, deceduto, non è mai stato prelevato per il confronto”.
Alessandro Memoli
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