Scongiurare la stretta annunciata dal ministro Nordio sulle intercettazioni, che restano uno strumento “fondamentale” nel contrasto alla mafia, alla corruzione e anche alla criminalità comune.
Davanti alla Commissione Giustizia del Senato, sono due autorevoli capi di procure a chiedere che gli ‘ascolti’, non vengano toccati. E a ridimensionare gli allarmi sulle possibili manipolazioni del trojan, che tanto preoccupano i componenti della Commissione guidata da Giulia Bongiorno.
Sono il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo e Raffaele Cantone, che da anni è alla guida dei pm di Perugia dopo aver combattuto a Napoli la camorra e aver diretto l’Autorità anticorruzione. Vengono ascoltati nell’ambito dell’indagini conoscitiva disposta sulle intercettazioni. Un’occasione per lanciare idee e proposte, a partire da quella del capo della Dnaa, che lo Stato, colpevole di essersi “ritirato dal governo delle tecnologie” in campo investigativo, si avvalga ora, soprattutto nelle indagini su mafia e terrorismo, di ‘hacker etici’.
Ma anche per spazzare via notizie “false” e dubbi, come quelle che hanno investito l’indagine a Perugia sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, una delle prime a utilizzare il captatore informatico. In quelle intercettazioni “non è emersa alcuna manipolazione” assicura Cantone, che parlando dell’uso molto parco che il suo ufficio fa del trojan limitandolo al contrasto a criminalità organizzata , terrorismo e corruzione, fa riferimento anche dell’indagine perugina su Alfredo Cospito, rivelando che è stata uno degli elementi per l’applicazione del 41 bis “perché noi contestavamo specificatamente l’ipotesi di istigazione a delinquere fatta mentre era in carcere”.
Il cuore dell’audizione è però il ridimensionamento annunciato da Nordio delle intercettazioni. E i due procuratori vanno subito al punto.
“Ridurre la possibilità dell’uso del trojan nei reati contro la pubblica amministrazione minerebbe anche le indagini contro la criminalità organizzata”, avverte Melillo, spiegando che molte delle indagini sulla mafia “nascono da quelle sulla pubblica amministrazione” e richiama i tanti casi dei Comuni sciolti per infiltrazioni della criminalità organizzata, tra i quali quello di un’amministrazione della provincia di Napoli che ha vissuto questa esperienza “quattro volte in 30 anni”.
Le intercettazioni sono “fondamentali” e per questo irrinunciabili, rilancia Cantone. Sono “determinanti” nella lotta alla criminalità organizzata, anche quando è possibile avvalersi dei collaboratori di giustizia. E in materia di corruzione costituiscono “l’unico strumento per penetrare nel rapporto omertoso che c’è tra corrotto e corruttore”.
Senza gli ascolti “è difficile anche aggredire la criminalità comune”. Quanto alle preoccupazioni legate alla possibile manipolazione del trojan, i due procuratori ridimensionano il problema. “Evitare l’enfatizzazione di allarmi infondati” è l’invito che arriva da Melillo.
“Se si tratta di riconoscere che è possibile che un maleware manipoli dati, non si può dire di no. Quello che non si può affermare è che questo avverrebbe sistematicamente, ordinariamente e impunemente”. Per Cantone si tratta di una possibilità “in astratto”, che nell’inchiesta su Palamara non ha trovato riscontro, dice, approfittando dell’occasione per smentire che esista una registrazione della cena con l’allora procuratore di Roma Pignatone.
Quanto alle fughe di notizie sulle intercettazioni, il fenomeno, assicura, è stato limitato dalla legge Orlando: l’archivio delle conversazioni che devono restare segreti che sta funzionando “abbastanza bene”
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