Maurizio Scaparro, che amava dire che il suo desiderio era ”avere sempre una finestra su Roma e una porta aperta sull’Europa”, è morto stanotte nella sua casa al centro della sua amata città, dove aveva festeggiato il 2 settembre con gli amici più cari i suoi 90 anni, essendo nato quel giorno nel 1932 proprio a Roma.
Domenica mattina 19 febbraio verrà ricordato al Teatro Argentina, dove sarà allestita la camera ardente. Era l’ultimo grande personaggio di quel gruppo, di cui fu capostipite Strehler col Piccolo dei Milano, che, nel dopoguerra, fece nascere il teatro pubblico e la moderna regia in Italia, portando i propri spettacoli in giro per l’Europa e per il mondo, sicuri che la cultura e il fascino del teatro potessero essere uno strumento centrale per la crescita del paese.
Negli anni così lo troviamo, per citare le tappe fondamentali dopo gli inizi allo Stabile di Bologna, direttore di quello di Bolzano, quindi nel 1983 directeur adjoint del Theatre de l’Europe a Parigi, al fianco di Strehler, e subito dopo direttore del Teatro di Roma (1983-1990); poi commissario straordinario dell’Eti, direttore dell’Olimpico di Vicenza, direttore del Teatro Eliseo di Roma (1997-2001), della Biennale Teatro di Venezia, senza dimenticare a Parigi la direzione del ”Theatre des Italiens” e la direzione della sezione spettacoli dell’Expò di Siviglia del 1992.
Per questo quelli di quella generazione furono registi impegnati, ognuno con una propria cifra stilistica e poetica, che Scaparro rivela nei personaggi centrali del suo percorso artistico, per certi versi scomodi perché sognatori, capaci di vivere un’utopia, che è anche un modo per dire no alla realtà e insieme la voglia di qualcosa di diverso, un essere diversi sperando in un futuro altro.
Per capire, ecco che si parte da uno spettacolo per il ventennale della Resistenza “Festa grande di Aprile” di Franco Antonicelli nel 1964 con cui inizia anche la collaborazione con lo scenografo di una vita Roberto Francia; poi l’anno dopo al Festival di Spoleto la riscoperta di una donna libera e intraprendente come la “Venexiana” di anonimo cinquecentesco, riproposta più volte nel tempo e portata anche in America, proseguendo negli anni con l’ottocentesco bandito “Stefano Pelloni detto il Passatore”, per arrivare ai grandi testi classici, da “Amleto” che segna l’inizio del lungo sodalizio con un attore quale Pino Micol con cui nascono “Cirano di Bergerac”, “Don Chisciotte” con cui coglie rabbia e voglia di nuovo di quegli agitati primi anni ’70.
Poi “Caligola” scritto da Albert Camus, la brechtiana “Vita di Galileo” che segano la sua riflessione costante sul rapporto col potere. Andando avanti ci sono ancora “Il fu Mattia Pascal”, “Enrico IV”, “Don Giovanni” sia “raccontato dai comici dell’arte” sia quello di Mozart all’opera, la scandalosa “Governante” di Brancati, sino ai privati sentimenti e le riflessioni politiche delle intense “Memorie di Adriano” dalla Yourcenar che dal 1989 diverrà cavallo di battaglia di Giorgio Albertazzi e oggi di Micol, con in mezzo lo sberleffo poetico e popolare dei due “Pulcinella” di Santanelli-Rossellini con Massimo Ranieri, diventato nel 2009 anche un film.
Appunto figure riportabili a un unico grande disegno ideologico, sentimentale e poetico, che avrà il suo motore nello spirito dell’utopia che è speranza e visione e segna tutto il lavoro di Scaparro, andando poi a unirsi all’idea della festa, come luogo di vitalità, dignità e amore, e avrà il suo culmine con la reinvenzione e il rilancio del Carnevale di Venezia, quando sarà direttore della Biennale Teatro dal 1979 al 1982 (dove tornerà dal 2006 al 2009).
Lo stesso vale per la sua direzione degli spettacoli all’Expò 1992 di Siviglia. Costante per Scaparro in tali progetti il riferimento all’Europa e il Mediterraneo, ideale luogo di tradizioni, musiche, spettacoli, tra i tanti teatri antichi greci e romani e la riscoperta della piazza.
Mare che collega il nord al sud in senso storico ma anche ideologico, sociale e politico con l’Italia al centro, e che si riflette nelle due grandi vocazioni teatrali di Napoli e Venezia. Una visione che svilupperà l’idea di collegamento tra diversi teatri di vari paesi e culminerà nel 2016 al Teatro della Toscana col progetto “Mediterriamo”, che intende riunire artisti, politici, istituzioni pubbliche e private per riscoprire una via di salvezza, aldilà di odio e muri, creando un’alternativa al nichilismo, eredità di crisi e sgomento che hanno segnato l’uomo del Novecento.
Non a caso un dei suoi ultimi, alti e significativi spettacoli è stato “Aspettando Godot”, ripreso più volte dal 2014 al 2019. Negli ultimi anni, come sempre un vulcano di idee e progetti, si è dedicato alla formazione dei giovani, tutto sempre appunto con quell’idea di utopia, che era sintesi di progettualità, saper guardare avanti e soprattutto passione e amore, perché, come ripeteva, citando una battuta del “Caligola” di Camus: “L’assenza di amore genera mostri”.
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