Roma – “Se durante un’operazione chirurgica troviamo i cosiddetti ‘cancri in situ’, la probabilità di guarigione da un tumore del colon retto è quasi assoluta.
Soprattutto dal punto di vista dell’asportazione endoscopica siamo in grado di curare, di fatto, la quasi totalità dei pazienti. Dipende dallo stadio di avanzamento della malattia. Se vi sono delle metastasi, è chiaro che il discorso cambia ma anche in questo caso siamo in grado di ottenere significative guarigioni, chiaramente in proporzione molto più bassa.
Nel caso di Matteo Messina Denaro, per il quale si parla di tumore del colon con metastasi epatiche, si tratta di una malattia avanzata dove le possibilità di cura sono scarse”.
Lo spiega all’agenzia Dire Bruno Annibale, professore ordinario di gastroenterologia, direttore Uoc malattie apparato digerente e fegato dell’Ospedale Universitario Sant’Andrea Sapienza di Roma e presidente della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva (Sige).
“Viste le condizioni del malato- prosegue- non hanno certo pensato a terapie più significative, perchè ci vogliono centri avanzati, competenze multidisciplinari. Non conosco il contesto ma non credo che le strutture private come quella dove era ricoverato Messina Denaro abbiano le potenzialità, le competenze e il know how per trattare adeguatamente un paziente con questo tipo di neoplasia: ci vogliono centri per i tumori.
In Italia abbiamo centri all’avanguardia e possiamo dire la nostra, sia sul fronte della ricerca che dell’attività clinica”.
Oggi, infatti, possiamo contare su molti trattamenti terapeutici per contrastare il tumore del colon retto, ma per il professor Annibale la prevenzione riveste un ruolo fondamentale. “Quando eseguiamo una colonscopia- dichiara- possiamo asportare immediatamente i polipi, che saranno poi analizzati, e questo è già un trattamento di prevenzione.
Poi abbiamo la chirurgia avanzata, farmaci e un armamentario terapeutico elevatissimo. Siamo davvero in grado di arrivare a curare i pazienti in maniera significativa. Ribadisco, però, l’importanza di arrivare alla diagnosi precoce, perchè oggi una quota di pazienti con lesioni polipoidi o piatte nel colon può essere trattata per via endoscopica, addirittura risparmiando la chirurgia. Le possibilità e le potenzialità di trattamento sono, dunque, notevoli”.
“Il tumore del colon retto- sottolinea- costituisce varie neoplasie maligne, in particolare l’adenocarcinoma, che interessano la popolazione. È un big killer che affligge tutto il mondo occidentale e che colpisce indistintamente uomini e donne. Da studi recenti è emerso che l’età della sua comparsa è scesa ai 45 anni, non più ai 50, proprio perchè c’è un netto incremento di questi tumori maligni nel colon retto”.
Secondo l’esperto “le cause dell’incremento non sono ben chiare: per circa 80% si tratta di tumori sporadici, solo il 20% è rappresentato da tumori genetici o legati a malattie croniche infiammatorie intestinali. Il problema è che non abbiamo grandi idee sulle cause e in tutto il mondo occidentale viene fatto lo screening del cancro del colon proprio per il grande impatto sociale ed economico che riveste”.
“Prove certe non ne abbiamo- tiene a precisare Annibale- ma sotto la lente di ingrandimento ci sono l’alimentazione, legata alla modificazione del microbiota intestinale e a contaminanti alimentari, e la vita sedentaria. Tra i fattori di rischio vi sono infatti l’incremento del peso corporeo, l’obesità e il diabete”.
Il vero problema del tumore del colon retto è che è asintomatico e che i sintomi, quando fanno la propria comparsa, sono tardivi. “Un unico sintomo significativo- afferma il gastroenterologo- è l’emissione di sangue post evacuativo o di sangue con le feci. Altrimenti, sintomi come dolori addominali si riscontrano solo in quadri avanzati e tardivi.
E questo, purtroppo, costituisce l’elemento più negativo di questo tumore che, nelle fasi iniziali, fino a quando non dà lesioni importanti, sostanzialmente non dà sintomi. Anche la carenza di ferro, la ferritina bassa, che può indurre a un sanguinamento cronico, è un segno che, però, spesso viene ignorato”.
Il presidente della Sige ammonisce poi che “dai 45 anni non bisogna dare per scontata una malattia emorroidaria. Il paziente deve andare dal medico, che deve eseguire l’esplorazione rettale ed eseguire tutti gli esami endoscopici del caso. Non può essere dato per scontato l’assioma ‘ho fatto un po’ di sangue, sono un po’ stitico, si tratta di emorroidi’. Nella pratica clinica, questo è un punto che va assolutamente superato”.
A parte lo screening, che si fa in tutta Italia, la diagnosi avviene solo attraverso gli esami endoscopici. “Oggi- rende noto- abbiamo la possibilità di ricorrere alla colonscopia virtuale, che ha basse dosi di radiazioni, e che grazie a un software che ricostruisce il colon permette di vedere la presenza di polipi o lesioni. Ha però un limite, perchè sotto i 5 millimetri può non vederli, anche se si tratta di un’ottima diagnostica che va implementata”.
Per il direttore Uoc malattie apparato digerente e fegato dell’Ospedale Universitario Sant’Andrea Sapienza di Roma, l’importante è fare. “La nostra società scientifica ha pubblicato una survey sull’aderenza allo screening del cancro del colon retto in Italia. Dalla survey sono emerse grandi differenze in Italia.
Abbiamo registrato una buona attività di screening nel Nord, accettabile al Centro, insufficiente nel Sud. C’è, dunque, un’enorme disparità assistenziale. Il Covid l’ha aggravata ma siamo in ritardo”.
“Purtroppo- dice inoltre- nella pratica clinica post Covid cominciamo a osservare malattie tumorali avanzate proprio nelle persone che hanno ritardato una visita, che hanno avuto paura di andare in ospedale”.
Annibale punta l’indice contro la scarsità sul territorio italiano di centri gastroenterologi endoscopici. “Oggi la popolazione ha bisogno di servizi e il Servizio sanitario nazionale non è in grado di dare le giuste risposte nei tempi corretti. Questo elemento rappresenta, secondo me, la barriera più alta per fronteggiare il tumore del colon retto”.
Il presidente della Sige lancia infine un messaggio alla popolazione. “I gastroenterologi sono l’unico fronte capace di gestire, diagnosticare correttamente un tumore del colon retto e intervenire.
Perchè quando interveniamo nella malattia avanzata, le altre competenze, pur necessarie, sono tardive. Siamo noi- conclude- la prima linea e i gastroenterologi italiani sono davvero ridotti nel Servizio sanitario ma anche in quello privato convenzionato. C’è bisogno delle nostre competenze”.
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