Anche la convivente di Alessio Bossis, il ventiduenne ucciso in un agguato di matrice camorristica scattato a Volla, lo scorso 24 ottobre, percepiva il reddito di cittadinanza.
Figura anche lei infatti tra i destinatari dei sequestri notificati oggi dai carabinieri a una ventina di indagati, legati a presunti affiliati alla criminalità organizzata, che percepivano indebitamente il reddito di cittadinanza.
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Secondo la Dda, Bossis, sarebbe stato tra gli autori della “stesa” messa a segno nella centralissima Piazza Trieste e Trento di Napoli, nel 2019. La donna, M.C.T., avrebbe intascato, senza averne diritto, quasi 13mila e 500 euro tra il marzo 2020 e l’agosto del 2021.
Come gli altri indagati la donna ha omesso di dichiarare che il “familiare convivente”, cioé Bossis – malgrado la sua giovanissima età ritenuto elemento di vertice del clan del quartiere Ponticelli composto dalle famiglie De Luca Bossa-Minichini – era sottoposto a una misura cautelare.
Stesso discorso anche per Ciro Postiglione, luogotenente di Bossis: anche lui venne arrestato, il 28 marzo 2019, per la “stesa” in piazza Trieste e Trento. A percepire il reddito di cittadinanza è stata una sua giovanissima familiare: la ragazza avrebbe incassato, indebitamente, 5.290,03 euro (tra aprile 2019 e febbraio 2020).
Poi ci sono alcuni familiari di esponenti di vertice del clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia, come i parenti di Nino Spagnuolo, Giovanni D’Alessandro, Carmine Barba e di Sergio Mosca (quest’ultimo ha ricoperto il ruolo di reggente del clan ed è il suocero di Pasquale D’Alessandro, figlio primogenito del defunto boss Michele).
Il sussidio veniva intascato senza che ne avesse diritto anche un familiare del narcotrafficante Giuseppe Vuolo, arrestato nel 2017 in Calabria. Le indagini dei carabinieri, che questa mattina sono culminate in un provvedimento di sequestro preventivo firmato dal gip di Torre Annunziata Maria Antonietta Criscuolo, hanno portato alla luce il sistema che usavano tutti.
Un passaparola tra affiliati e i loro familiari cha ha permesso a tutti di continuare a incassare il beneficio nonostante i diretti interessati o i loro conviventi fossero finiti in carcere, che e’ uno dei motivi ostativi per la ricezione del contributo da parte dello Stato.
Cosi’ Vincenzo Schettino, ritenuto vicino ai Papale, uno dei 20 indagati dalla procura retta da Nunzio Fragliasso, fa domanda a marzo del 2020 e un mese dopo finisce in carcere. Allo stesso modo Vincenzo Somma fa domanda a febbraio e a novembre viene portato in un istituto di pena per scontare un residuo pena.
Ma l’elenco, che comprende 16 donne, e’ lungo. Adriana Luise e Immacolata Prudente, entrambe residenti nel quartiere di Napoli di Ponticelli, riescono a truffare l’Inps con due domande da aprile 2019 a settembre 2021. Prudente, in particolare, fa domanda l’8 marzo di tre anni fa, e il 28 marzo il convivente Ciro Postiglione, elemento di spicco dei De Luca Bossa, finisce in carcere.
Nel periodo compreso tra i mesi di marzo 2019 e settembre 2021, gli indagati hanno ottenuto in totale circa 220.000 euro senza averne diritto. In un caso, quello di Filomena Gargiulo, l’arresto del convivente Antonino Alfano, e’ precedente di sei mesi la percezione del reddito.
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