E’ stata la conversione all’Islam, un espediente adottato all’inizio per sfuggire alla morte e poi diventata scelta di fede, a tenere in vita Bruno Carbone.
Il braccio destro e socio del narcotrafficante internazionale Raffaele Imperiale, soprannominato il “boss dei Van Gogh”, era stato arrestato in Siria ed era destinato a morte certa. A rivelarlo è Il Mattino.
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Secondo alcune indiscrezioni trapelate su alcuni organi di stampa lo scorso novembre, successivamente confermate, Carbone è stato arrestato nel nord-ovest della Siria da una milizia una volta legata ad al Qaida. La milizia in questione, la Hayat Tahrir al Sham (Hts), è una formazione militante salafita, strattamente legata ad Ankara e attualmente attiva e coinvolta nella guerra civile siriana.
Carbone – riporta il quotidiano – dopo l’arresto avrebbe subìto torture, minacce e ormai temeva di essere ucciso quando ha deciso – per salvarsi la vita – di chiedere ai suoi aguzzini una copia del Corano.
Una “trovata” inizialmente finalizzata ad evitare una probabile esecuzione e poi diventata una seria e convinta scelta di fede. Dalla sua latitanza dorata di Dubai aveva deciso di fuggire dopo avere capito che ormai il suo arresto era imminente. Sotto falso nome, a bordo del jet di un sultano e pagando ben 60mila euro, è approdato in Turchia da dove intendeva partire per il Sud America.
Ma viene catturato dai miliziani e così comincia un calvario che dura molti mesi. Fino alla liberazione, a metà dello scorso novembre, e la consegna all’Italia sulla quale ha messo piede da musulmano.
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