Napoli, Gi agenti del Commissariato San Ferdinando, durante il servizio di controllo del territorio, hanno rinvenuto in via Santa Maria della Neve numerosi abeti, pini e diverse masserizie del peso di circa 100 quintali occultati in alcuni vani contatori per essere incendiati in occasione del “cippo” di Sant’Antonio Abate.
Il materiale è stato consegnato a personale dell’ASIA intervenuto per la rimozione. I controlli delle forze dell’ordine continueranno in maniera incessante nelle prossime ore quando i giovani di tutti i quartieri della città faranno a gara per allestire il cippo di grande in vista dei “fucarazzi” in onore di sant’Antonio del 17 gennaio.
Antico inizio dell’anno contadino, i cristiani vi fanno coincidere l’inizio del Carnevale, evento di comunità che vede nelle alte torri di fuoco dal sapore di oracolo occasione di confronto e rinascita. Un’intimità condivisa di cui in questi giorni si sente grande mancanza.
E’ un adagio che non si riferisce solo i denti da latte, ma a tutto quello che di vecchio va sostituito. La tradizione del fuoco rinnovatore è diffusa ovunque nel territorio regionale segnando importanti differenze tra città e campagna, con casi eccezionali come la festa di Macerata Campania.
A Napoli nei giorni precedenti al 17, la vita nei vichi era un rintronare di grida gagliarde: Menate, menate a sant’Antuono, coi giovani intenti a riparare ricciolute teste dalla mobilia vecchia buttata giù da balconi e finestre.
Da lì era, poi, una bagarre tra quartieri nel tentativo di creare la pila di sedie spagliate, armadi sgangherati, porte rotte, che fosse più alta di quella del vicino. Restava al fuoco bruciare quella vita vecchia per portare la nuova racchiusa nella la cenere curativa sottratta al rogo insieme alla brace per i bracieri e i camini in case spoglie dalle cose vecchie.
In via Foria, poi, i monaci di Sant’Antonio Abate si accompagnavano con i lattoni di sant’Antuono, i maialetti che cresciuti portavano dentro di sé il lardo benedetto capace di curare l’Herpes Zoster.
Se di monaci accompagnati da maiali non se ne vedono più, nella Chiesa di Via Foria resiste la tradizionale benedizione degli animali domestici. Più fortemente quest’anno, in programma alle 7.00 di domenica, per la rinascita di una parrocchia che riapre ai fedeli (a due e quattro zampe) dopo alcuni anni di ristrutturazione e pratiche religiose relegate al cortile antistante. Questo in città.
Nelle campagne della provincia la fanno da padrona le masserie, con i fucarazzi fatti di fascine e scarti di potatura. Al centro una miccia di rami di alloro, pianta già sacra più o meno ai tempi in cui Talete di Mileto ancora gattonava.
E il maiale? Ahimè, la tradizione vuole che partecipi sì alla festa, ma come pietanza, con le obbligatorie salsicce e friarielli, e poi vino paesano, migliacci, lasagne e cibi tipici del periodo carnevalesco.
Da alcuni anni la pratica antica, è stata ripresa, da piccole comunità improntate alla resistenza culturale, come l’Orto conviviale. Tutto questo in contrapposizione alla tendenza pericolosa di chi non rispettando la tradizione brucia anche quello che non dovrebbe.
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