Palermo. Alle 9,35, il boss Matteo Messina Denaro è stato portato via in un furgone dalla clinica Maddalena di Palermo dai militari del Ros.
Il furgone nero è stato scortato da alcune gazzelle carabinieri fra gli applausi dei palermitani arrivati. L’ultimo dei corleonesi è stato catturato nei giorni del trentesimo anniversario dell’arresto del Capo dei capi Totò Riina.
Per la cattura del boss sono stati impiegati più di cento carabinieri del Ros, del Gis e del comando provinciale di Palermo che da da questa mattina presidiavano la zona di San Lorenzo attorno alla clinica Maddalena. Il blitz è scattato intorno alle 9 con tutti i militari a volto coperto. L’area è stata sigillata con carabinieri ad ogni uscita della struttura.
Secondo quanto si apprende il capomafia era in cura da oltre un anno nella clinica Maddalena, nella quale i carabinieri del Ros lo hanno arrestato dopo 30 anni di latitanza.
Matteo Messina Denaro, Diabolik o u siccu, comincia la sua ascesa criminale nel 1989, quando figlio dell’allora più celebre padre, don Ciccio, boss di Castelvetrano, incassa la prima denuncia per associazione mafiosa. Già da allora ha preso in mano il mandamento su delega del padre-padrino ammalato che lo avvia alla successione. L’enfant prodige del crimine, destinato per legami di sangue ad assumere un ruolo in Cosa nostra, ha sempre amato sparare. A 14 anni sa maneggiare le armi, a 18 commette il primo omicidio.
“Con le persone che ho ammazzato io, potrei fare un cimitero”, confida a un amico. In linea con la strategia stragista dei corleonesi, dei quali, come suo padre, resterà sempre fedele alleato, è coinvolto nelle stragi del ’92 in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un ruolo quello di Messina Denaro emerso solo nel, quando la Procura di Caltanissetta, che ha riaperto le indagini sugli attentati, ha chiesto la custodia cautelare per il boss di Castelvetrano e a ottobre del 2020 lo ha fatto condannare all’ergastolo per i due attentati. Secondo gli investigatori sarebbe stato presente al summit voluto da Riina, nell’ottobre del 1991, in cui fu deciso il piano di morte che aveva come obiettivi i due magistrati. I pentiti raccontano, poi, che faceva parte del commando che avrebbe dovuto eliminare Falcone a Roma, tanto da aver preso parte ai pedinamenti e ai sopralluoghi organizzati per l’attentato. Da Palermo, però, arrivò lo stop di Riina. E Falcone venne ucciso qualche mese dopo a Capaci.
Importante il suo ruolo nelle stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano: processato è stato condannato all’ergastolo per le bombe stragiste.
La sua latitanza comincia a giugno del 1993, dopo essere stato visto per l’ultima volta in vacanza insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano a Forte dei Marmi.
In una lettera inquietante scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, preannuncia l’inizio della vita da Primula Rossa. “Sentirai parlare di me- le scrive facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue – mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”. Il padrino trapanese ha collezionato decine di ergastoli: carcere a vita per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito rapito da un commando di Cosa nostra, strangolato e sciolto nell’acido nel 1996 dopo quasi due anni di prigionia. Riconosciuto colpevole di associazione mafiosa a partire dal 1989, l’ultima condanna per mafia è a 30 anni di reclusione in continuazione con le precedenti. Il tribunale di Marsala per la prima volta gli ha riconosciuto la qualifica di capo nel 2012. E una pioggia di ergastoli il boss li ha avuti anche nei processi Omega e Arca che hanno fatto luce su una serie di omicidi di mafia commessi tra Alcamo, Marsala e Castellammare tra il 1989 e il 1992.
Articolo pubblicato il giorno 16 Gennaio 2023 - 10:17