“E’ stato il capitolo più nero e angoscioso della mia storia criminale”. Lo ha raccontato ai magistrati della Dda di Napoli, il boss di Quarto, da tempo collaboratore di giustizia, Roberto Perrone a proposito dell’omicidio dell’innocente Giulio Giaccio.
Lui faceva parte del gotha del clan Polverino che decise ed eseguì l’omicidio del giovane operaio incensurato scambiato per il fidanzato della sorella del boss che non acconsentiva appunto a quella relazione.
ì Oggi i carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli hanno notificato, a distanza di ben 22 anni da quella tragica morte, nuove accuse e due misure cautelari nei confronti di due componenti il commando del clan Polverino: Salvatore Cammarota, 55 anni, detenuto a L’Aquila, e di Carlo Nappi, 64 anni, in carcere a Livorno.
Perrone racconta la vicenda agli inquirenti nella veste di “pentito”: prese parte alle fasi preparatorie ed esecutive del prelievo “forzato” dell’operaio ed era presente quando il killer Raffaele D’Alterio lo uccise a sangue freddo. Un omicidio che Perrone non si aspettava e che lo mandò su tutte le furie, in quanto commesso senza che venisse preventivamente avvertito.
Perrone si trovò di fronte a Giulio e gli chiese anche se il suo nome di battesimo fosse Salvatore. Giaccio rispose di chiamarsi Giulio e gli si rivolse a chiamandolo “comandante”, in quanto credeva che fosse veramente un capo pattuglia della Polizia di Stato. L’auto con a bordo l’operaio e altri esponenti del clan successivamente si allontanò.
Poco dopo, in una zona diversa da quella dove venne prelevato, Giulio Giaccio venne ucciso con il colpo di calibro 38 esploso da Raffaele D’Alterio. Quello stesso giorno il corpo della vittima venne sciolto nell’acido.
Era il 30 luglio del 2000. Uno sbaglio sul quale, a distanza di oltre vent’anni, è stata fatta luce anche grazie alle dichiarazioni convergenti di diversi collaboratori di giustizia senza i quali la sua fine, a soli 26 anni, sarebbe rimasta un mistero.
I successivi accertamenti hanno consentito di scoprire che l’operaio edile Giulio Giaccio venne scambiato per un certo Salvatore, un uomo che stava intrattenendo una relazione – osteggiata – con la sorella di Cammarota. Il corpo della vittima venne quindi portato in una zona appartata e sciolto nell’acido. Ma prima venne mostrato a Cammarota che lo apostrofò mentre lo prendeva a calci. I resti vennero poi fatti sparire in una “senga”, cioé in una fenditura del terreno nella zona di Marano di Napoli.
Solo il giorno dopo si seppe che lo “specchiettista” si era sbagliato e che quel giovane non era il Salvatore che stavano cercando. Perrone si arrabbiò molto. Addirittura si disse propenso ad uccidere chi aveva commesso quell’errore costato la vita di un innocente. Nel corso degli anni la vicenda fu oggetto di diverse indagini, tutte archiviate.
Si pensò a una ritorsione tra clan rivali del quartiere Pianura e anche al rapimento finalizzato a punire rapinatori “sfacciati”. Subito dopo la sua sparizione vennero ascoltati diversi parenti di Giaccio e tutti confermarono agli investigatori che lui con la camorra non c’entrava nulla.
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