Ha inghiottito delle lamette e poi ha cercato di impiccarsi.
Si tratta di un detenuto del carcere di Salerno, salvato in extremis dagli agenti di polizia penitenziaria di turno nel reparto. A confermarlo Tiziana Guacci, segretario del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), per la Campania.
“L’uomo ha prima inghiottito delle lamette ed ha poi tentato il suicidio mediante impiccamento, utilizzando una vestaglia”. Lo ha detto la segretaria Sappe sottolineando che il tempestivo intervento degli ‘angeli azzurri’ della polizia penitenziaria ha cambiato il corso del destino dell’uomo.
“Fondamentale è stato il lavoro di squadra dei poliziotti in servizio che hanno reso possibile il salvamento dell’uomo da morte certa – ha aggiunto – Restano ignote le motivazioni che hanno portato il detenuto a porre in essere il gesto estremo. In ogni caso, il dato certo è che la scelta di togliersi la vita è originata da uno stato psicologico di disagio”, ha concluso.
Sempre ieri, i controlli degli agenti hanno impedito l’introduzione in carcere di 2 cellulari, abilmente occultati in una forma di formaggio contenuta in un pacco destinato ai familiari.
“Questa è la polizia penitenziaria pronta ad agire con gli altri operatori e con gli stessi detenuti, come al carcere di Salerno, per tutelare la vita dei ristretti”. Lo ha dichiarato Donato Capece, segretario generale Sappe, il sindacato più rappresentativo della polizia penitenziaria.
“L’ennesimo tentato suicidio di una persona detenuta, sventato in tempo grazie alla professionalità e all’attenzione dei poliziotti, dimostra come i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari”, ha aggiunto.
E ha ancora aggiunto: “Richiamo un pronunciamento del Comitato nazionale per la bioetica che sui suicidi in carcere aveva sottolineato come ‘il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze.
La via per eliminare questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Proprio il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri.
Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici – ha concluso Capece – Il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente ‘stressogeno’ per il personale di polizia e per gli altri detenuti”.
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