“Adda passà ‘a nuttata”: l’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, cita Eduardo De Filippo nella lettera di Natale diffusa oggi, per invitare i fedeli alla speranza.
Notte santa. Notte di Natale. Notte magica, come dicono alcuni. Notte di bontà, come la chiamano altri. Notte sempre uguale o, forse, sempre diversa. Notte carica dell’attesa dei bambini e della malinconia di chi, avanti negli anni, pensa alle notti passate, senza assenze e mancanze. Notte che per alcuni continua anche quando fuori c’è luce. Notte di chi cerca un oltre fissando le stelle.
Notte, notte santa, è a te che mi rivolgo in questo Natale. Tu sei quella di sempre, quella che incontro alla fine di ogni dì, ma nelle ore del Natale ti vesti di mistero, e pur pronunciando da sempre le stesse parole, vieni compresa in modo diverso da chi vive tempi buoni, da chi vive giorni difficili, da chi si sente smarrito o da chi gioisce per essersi sentito ritrovato.
Cara Notte, quante volte sei tu a farmi compagnia mentre passeggio per la terrazza di questo episcopio, accarezzato dai secoli di storia che dall’alto della cattedrale raccontano a chi passa tra questi vicoli storie di fede, storie di carità ma anche di travagli, miserie, infedeltà, delusioni e speranze. Sai, anche se a volte ti combatto, preso dalle tante preoccupazioni che non riesco ancora ad affidare tutte al Signore, senza pensarci più, molte volte mi sei amica, sei voce gentile che al cuore narra la presenza discreta di un Dio, “questo Dio che viene di notte e in solitudine”.
Di notte e in solitudine, così descrive il venire di Dio David Maria Turoldo e con il suo sguardo poetico e mistico continua dicendo che “forse nella storia degli uomini è sempre notte; e ognuno è sempre solo e possono essere già questi i primi segni della incarnazione di Cristo: rompere la nostra notte e riempire la nostra solitudine”.
Che immagine densa di verità: nella nostra notte Dio riempie la solitudine del cuore, si sdraia accanto a noi, ci sussurra parole di vita e di amore, prendendoci per mano nelle ore più buie, fino all’arrivo dell’alba. La notte degli uomini diventa così la culla di Dio, il luogo più buio diventa quello più luminoso perché per Lui “la notte è chiara come il giorno e le tenebre sono come luce” (Sal 138).
Per questo scrivo a te, notte, perché diventi luminosa nell’accogliere il mio Dio e Signore, perché sei la cornice del suo farsi carne, l’unica testimone oculare della sua resurrezione. E, nello stesso tempo, sei lo spazio abitato da un’infinità di uomini e donne che fanno fatica a scorgere i segni dell’alba, i raggi primogeniti della luce, perdendo la speranza nel sole che sembra non arrivare mai per la loro vita.
Credo sia proprio per questo che Dio ti sceglie. Sceglie il tuo buio per rischiarare coloro che “stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte” (Lc 1, 79). Sceglie il tuo silenzio per riempire con la sua Parola i vuoti e le risacche della nostra anima. Sceglie la tua solitudine per raggiungere coloro che sentono bruciare sulla loro pelle l’esclusione e la marginalità, la sofferenza di relazioni interrotte, l’isolamento di chi non riesce più a comunicare con gli altri e con la vita. Dio ti sceglie, notte, per farsi compagno di ogni uomo e di ogni donna che ha nostalgia della luce, ti sceglie per prenderli per mano e affrettare l’aurora della loro speranza, l’alba della loro vita.
È per questo che ti scrivo: per raggiungere con il Dio della luce le notti di questa nostra terra, di questo nostro tempo. Penso alle tante notti della mia amata città che si è così abituata a dire che “addà passà a nuttat” che a volte rischia di dimenticare che la notte più buia è anche quella in cui occorre restare più vigili, per scorgere i tanti segnali di luce che pure non mancano e da cui occorre ripartire per affrettare insieme l’aurora.
Penso alle notti che come Chiesa viviamo, quando ci sentiamo incapaci di comunicare il Vangelo a questo mondo cambiato in un batter d’occhio, senza che ce ne rendessimo conto per davvero: così afferrati dal timore e dallo smarrimento ci trinceriamo dietro mille barricate pur di non mettere in discussione le nostre strutture, pur di resistere ai mutamenti della storia, dimenticando che lo Spirito abita in essa e che il mutare della forma non cambia e non cambierà mai la Parola di vita e di speranza.
Penso alle notti dei tanti giovani che incontro ogni giorno: alla notte di Luigi costretto ad andare lontano per trovare un lavoro dignitoso distante da ogni sfruttamento, a quella di Ciro che dal tempo del lockdown è in prigione nella sua camera, rifiutando ogni amicizia e facendo sentire i suoi genitori disperati e impotenti, a quella di Matteo che dalla finestra di una comunità-alloggio sogna un futuro dal sapore di casa e di famiglia.
Penso alle notti di tante famiglie nella morsa della povertà, alle notti di Francesca che da poco ha perso il lavoro, a quella di Carmine che è in cassa integrazione e le cui sorti sono appese a un filo in mano a una cinica multinazionale, a quella di Luisa che con la sua misera pensione fatica ad arrivare a fine mese, ai tanti poveri che si sentono trattati come un numero di un’arida statistica da chi, fedele a un patto sociale, dovrebbe prendersi cura di loro.
Penso alle notti del piccolo Tommaso e della piccolissima Erika, che stanno passando da troppo tempo la loro infanzia tra le mura di un ospedale, alleviati però, oltre che dall’amore della famiglia, da quello di tanti medici che insieme a tutto il personale sanitario lottano per far si che una nuova luce sorga anche per loro. Penso alle notti Vitaly e di Olga, a quelle di Peter e Felix, alle notti di guerra di tanti popoli, tra cui quello ucraino, notti cadenzate dal rumore assassino delle bombe, notti vissute senza la certezza di un nuovo giorno, notti di angoscia e di terrore. Penso alle notti di chi cerca un senso alla propria vita, a quelle di chi scruta il cielo afferrato dal desiderio di scoprire una stella capace di illuminare di significato l’esistenza e di orientare il cammino tra il caos di questo mondo.
A tutti loro, a questi volti e questi nomi sconosciuti ai potenti di questo mondo ma noti a Dio e custoditi nel piccolo cuore del Bambino di Betlemme, vorrei che tu, Notte santa, portassi una carezza di speranza, un fascio di luce, una melodia di amore e di vita. Che il tenero vagito del Figlio di Dio parli al cuore della mia città, ridestandola a una gioia vigile, fatta di passione e desiderio di camminare insieme.
Che l’affidamento fiducioso della sua giovane Madre ispiri la Chiesa a fidarsi solo di Dio, della sua incrollabile fedeltà, non alle nostre strutture ma alla storia degli uomini e delle donne, che è storia amata e salvata, nella quale dobbiamo incarnarci come Lui stesso si è incarnato. Che l’ombra di Giuseppe di Nazareth, custode discreto dell’alba nel buio freddo della notte, aiuti tutti noi a custodire gli ultimi e i piccoli, coloro che rischiano non di restare ai margini ma di essere messi fuori dalla comunità.
Che il cammino dei pastori verso Betlemme divenga il cammino di ogni povero, ispirandogli la certezza che nella “buona notizia” di quel Bambino vi è il segreto del riscatto, la forza pacifica e potente della lotta per la giustizia, le istruzioni più utili per costruire la pace. Che il canto degli angeli accompagni le notti dei tanti bambini vittime della guerra e dell’ingiustizia, della malattia e dell’incuria, che la sua melodia arrivi al cuore dei potenti sciogliendone i grumi più duri, trasformando il nostro cuore di pietra in un cuore di carne.
E nel tuo congedarti da noi, Notte santa, donaci la tua benedizione, quella che ti ha lasciato in pegno il Figlio di Dio che sotto il tuo sguardo discreto si è fatto Figlio dell’Uomo. Da te benedetti non mancheremo anche di noi di benedire il Cielo per il dono del Figlio che ci è stato dato, del Bambino nato per noi. Con la tua benedizione sarà più facile unirci al coro degli angeli e cantare con la nostra vita la bellezza della fedeltà di Dio, la fiducia nella sua Parola, l’incrollabile certezza che l’ora più buia non è altro che il preludio dell’alba.
Notte Santa, mentre ti rivolgo queste ultime parole guardo fuori dalla finestra della mia cappellina e vedo che sei già andata via: il primo sole del Natale mi raggiunge, chiedo al Signore di fare del mio cuore uno specchio affinché i suoi raggi si riflettano fino a illuminare il volto di chi amo, gli occhi di coloro che mi sono affidati, i cuori di chi ancora non si è accorto che c’è ancora speranza di vita, che Dio non viene e non verrà mai meno alle sue promesse di salvezza, che vale ancora la pena, anche in mezzo alle difficoltà del nostro tempo, di guardarsi negli occhi, riconciliarsi, abbracciarsi e dirsi: buon Natale!
Articolo pubblicato il giorno 22 Dicembre 2022 - 18:47