Colera ad Haiti, 13mila contagi e 283 morti da ottobre. Si teme anche per vicina Repubblica Dominicana.
Anche se il numero di nuovi casi sta lentamente calando, l’epidemia di colera ad Haiti iniziata a ottobre non si è ancora spenta.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal 2 ottobre a oggi, 13.672 persone hanno contratto l’infezione, 11.751 delle quali hanno avuto bisogno del ricovero, e 283 sono morte.
La situazione è considerata ancora ad alto rischio per l’intera isola di Hispaniola, divisa tra Haiti e la Repubblica Dominicana. In tempi recenti, la prima epidemia di colera ad Haiti risale al 2010, pochi mesi dopo il catastrofico terremoto che si stima abbia ucciso circa 200mila persone.
Da gennaio 2019 sull’isola non erano stati riportati casi. Il batterio responsabile dell’infezione si è rifatto vivo lo scorso ottobre: da allora, sottolinea l’Oms, si assiste a un’epidemia che si “sta evolvendo rapidamente e diffondendo in tutte le parti del Paese”.
A complicare le cose, la situazione socio-economica: “È in corso una complessa crisi umanitaria che si sta rapidamente deteriorando a causa della violenza delle bande, dei conflitti socio-politici, dell’insicurezza, della penuria di carburante e dell’instabilità economica”, scrive l’Oms.
“Ciò ha comportato una possibilità di accesso limitato all’assistenza sanitaria e ai servizi essenziali, tra cui acqua, cibo, servizi igienici e servizi di approvvigionamento. Questa situazione rende la popolazione di Haiti estremamente vulnerabile all’attuale epidemia di colera”.
Preoccupa, inoltre, la possibilità che che i contagi possano espandersi alla Repubblica Dominicana, dove a novembre sono già stati rilevati due casi importanti di colera.
“Considerando l’entità e l’ampia diffusione dell’epidemia di colera in corso ad Haiti, in concomitanza con la complessa crisi umanitaria che il Paese sta attualmente affrontando, le limitate risorse per controllare l’epidemia, nonché i continui flussi migratori verso la Repubblica Dominicana, il il rischio in tutta Hispaniola è valutato come molto alto”, conclude l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
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