A settembre scorso scatenò il Far West nel carcere di Frosinone dove era detenuto, ora il giovane ras della camorra di Miano, Alessio Peluso, 28 anni, detto ‘o nir, uno dei reduci del famigerato clan Lo Russo di Miano, ha fatto arrestare 6 agenti penitenziari del carcere di Reggio Calabria.
Alessio Peluso durante un’udienza di uno dei processi a cui è sottoposto si era tolto la maglietta nel corso di un collegamento in videoconferenza col Tribunale di Napoli mostrando i segni delle percosse ai giudici. Quella denuncia non rimase inascoltata che che fu poi segnalata alla Procura di Reggio Calabria.
E oggi sono arrivati i provvedimenti a carico di agenti penitenziari del carcere “Panzera” di Reggio Calabria. La polizia di Stato ha infatti arrestato e posto ai domiciliari sei agenti di polizia penitenziaria in servizio nella casa di reclusione, tra cui il comandante, Stefano La Cava, di 48 anni. Oltre a La Cava, gli agenti coinvolti nell’inchiesta sono gli assistenti capo Fabio Morale, di 55 anni, Domenico Cuzzola (45) e Placido Giordano (51); il vice sovrintendente Pietro Luciano Giordano (55) e l’assistente Alessandro Sgrò (39).
A loro carico è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip, Valerio Trovato, su richiesta del Procuratore della Repubblica, Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto, Giuseppe Lombardo, e del sostituto procuratore Sara Perazzan. titolare del fascicolo d’inchiesta. I reati contestati nel provvedimento restrittivo sono tortura e lesioni personali aggravate.
Altri due agenti, nell’ambito della stessa inchiesta, sono stati sospesi dal servizio ed altri quattro risultano, al momento, indagati. Per questi ultimi il gip deciderà soltanto dopo l’interrogatorio se disporre anche nei loro confronti la sospensione dal servizio, come richiesto dalla Procura.
Nell’inchiesta è coinvolto anche uno dei medici in servizio nel carcere, indagato per depistaggio in quanto avrebbe reso false dichiarazioni al pubblico ministero nel corso delle indagini. Anche per lui il gip deciderà dopo l’interrogatorio se sospenderlo dal servizio. L’indagine che ha portato agli arresti è stata condotta dalla Squadra mobile reggina, diretta da Alfonso Iadevaia.
La posizione che appare obiettivamente più grave è quella del comandante La Cava, al quale, oltre alla tortura e alle lesioni, sono contestati i reati di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico per induzione, omissione di atti d’ufficio, calunnia e tentata concussione. Secondo quanto è emerso dall’inchiesta.
La Cava avrebbe tentato illegittimamente di visionare, costringendo un suo sottoposto a mostrargliele, alcune relazioni di servizio relative alla sorveglianza cui veniva sottoposto Peluso. All’epoca dei fatti, tra l’altro, il detenuto vittima del pestaggio aveva messo in atto una protesta, rifiutandosi di rientrare in cella dopo avere beneficiato dell’ora d’aria. Il pestaggio di cui è rimasto vittima Peluso è stato ripreso dalle telecamere interne dell’istituto di pena.
L’uomo è stato colpito ripetutamente dagli agenti con i manganelli in loro dotazione, ma anche con pugni. Lo stesso personale di polizia penitenziaria, inoltre, lo avrebbe fatto spogliare e lo avrebbe lasciato seminudo per oltre due ore in cella.
Peluso era stato trasferito nel carcere di Reggio Calabria dopo che a settembre scorso si era fatto arrivare, grazie a numerose complicità interne, nel carcere di Frosinone una pistola con un drone e con la quale fece fuoco 5 volte contro altri tre detenuti con i quali aveva litigato il giorno prima.
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