strong>Napoli. ”Si ha il dovere di seppellire degnamente quei resti perché sono storie di sacrifici. Si ha il dovere di dare risposte chiedendo giustizia e pietà per chi non abbiamo saputo proteggere nel sonno della morte.
Quei resti sono la memoria del nostro passato, quelle tombe non sono monumenti lasciati al tempo, ma sono presenza di grandi e di piccoli, di uomini e donne che ancora oggi ci narrano l’amore che hanno avuto per i loro familiari”.
Sono le parole pronunciate dall’arcivescovo di Napoli, monsignor Domenico Battaglia, in un passaggio dell’omelia per la celebrazione dei defunti che si è svolta nella chiesa del cimitero di Poggioreale.
”Non possiamo dimenticare il fatto accaduto – ha proseguito – non possiamo tacere le conseguenze che ha avuto e non possiamo coprirne le responsabilità. La vicinanza sta proprio nel ricercare la verità e difenderla, nel promuovere una collaborazione reciproca in cui la fraternità si respira nell’accoglienza delle necessità di chi ha avuto una doppia perdita: la morte e lo scempio dei resti mortali.
Accomunati dallo stesso dolore cerchiamo giustizia, perché non accada più una situazione simile. Abbiamo bisogno – ha aggiunto – di creare luoghi sicuri in cui possiamo piangere senza avere la paura di crolli, abbiamo bisogno di dare dignità alle tombe, a tutte le tombe”.
Nel corso dell’omelia, monsignor Battaglia ha inoltre evidenziato che ”ciò che è accaduto nel cimitero di Poggioreale, ci fa scoprire la nostra nudità, la povertà dell’essere umano, ci fa scoprire anche il nostro essere fratelli gli uni degli altri. Quando accadono situazioni spiacevoli, ci accorgiamo che abbiamo bisogno di prenderci cura gli uni degli altri e allora seppellire i morti non riguarda solo la pietà religiosa di un popolo, ma il senso civile dello stare insieme”.
Battaglia ha richiamato ”tutti ad assumersi la responsabilità di seppellire i morti perché ci appartengono” ed ha sottolineato che bisogna ”avere cura dei propri defunti, di tutti i defunti anche di quelli di cui non si conosce il nome: questo si chiama rispetto per tutto ciò che è vita dal suo nascere al suo tramonto e il rispetto è la cifra della civiltà di un popolo, è il grado più alto di vita spirituale per chi si rivolge al Dio dei viventi e il rispetto – ha concluso – richiama non solo la dignità di chi è morto, ma anche quella delle famiglie accomunate dallo stesso dolore. Non sono solo ossa senza nomi: quei resti rimandano a storie, a volti”.
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