Il padre di Rosa, durante il processo in corso stamattina, ha rivelato che dalla borsa della figlia, trovata nell’abitazione di D’Ambra, erano spariti circa 800 eu
Inoltre è convinto che la figlia abbia reagito a un tentativo di stupro: “quando sono entrato in casa, ho trovato il cellulare di Rosa… Nella sua borsa non c’erano più ottocento euro.
Lei era a poca distanza, con la maglietta sollevata, con il seno scoperto e i pantaloni della tuta che indossava parzialmente abbassati”.
Vincenzo Alfieri, padre di Rosa, la 23enne strangolata a Grumo Nevano lo scorso febbraio, si è intrattenuto con i giornalisti all’esterno dell’aula del tribunale di Napoli dove è in corso il processo per omicidio volontario aggravato dai futili motivi.
Nel racconto fornito ai giudici, dall’imputato Elpidio D’Ambra ha descritto le azioni compiute dopo la tragedia e anche le circostanze dell’arresto.
Ha voluto specificare che il giubbotto se l’era comprato perchè aveva freddo e non per far perdere le sue tracce: “Sono arrivato a Napoli da Frattamaggiore (dove acquista in due diversi momenti dei ‘gratta e vinci’ e una mascherina anti covid), ho preso un taxi mi sono fatto fermare davanti a un negozio di abbigliamento.
Mi sono preso un giubbino, erano già le 18 e poi, dico la verità, mi sono fatto accompagnare al rione Traiano, dove vendono droga. Non ero in grado di capire quello che avevo fatto e allora mi sono finito di drogare”.
Ai giudici ha poi riferito di avere passato tutta la notte girovagando intorno allo stadio San Paolo: “Il giorno dopo mi scoppiava la testa, di nuovo, – ha detto ancora D’Ambra – avevo un caos in testa, delle voci che mi parlavano di nuovo.
Mi sono legato la maglietta intorno alla testa e mi sono recato all’ospedale San Paolo, dove mi hanno fatto un tampone rapido, misurato la pressione, che era altissima, e dato delle gocce”. Dopo essere stato registrato, afferma, D’Ambra è stato fatto accomodare in sala, con altra gente”.
“Sono venuti due poliziotti, – racconta ancora – domandavano di un certo Francesco. Quando se ne stavano andando ne ho chiamato uno. Gli ho detto ‘potete venire qua?’. Lui mi ha risposto ‘cosa c’è?'”.
A questo punto, riferisce l’imputato, “gli ho dato i polsi e detto ‘arrestatemi, ho fatto una brutta cosa, ho un rimorso molto grande’. Lui mi ha risposto ‘non scherzare, non è giornata'”.
D’Ambra, questo punto, riferisce di avere detto all’agente che era serio e di essere “D’Ambra, quello di Grumo Nevano: questo è il mio documento. Però quel documento era in spagnolo.
A questo punto vengo preso dall’ansia e lui chiama un medico”. Gli agenti fatto i controlli e si accorgono che si tratta proprio della persona ricercata prr l’omicidio di una 23enne. Addosso gli trovano una “pipetta”, del crack e un accendino.
“Mi ero fatto di cocaina e crack, perciò avevo perso la testa… Mi fanno uscire senza manette poi me le mettono nell’auto. Una volta arrivato nella caserma sono arrivati i carabinieri e il PM: mi viene chiesto ‘lei vuole parlare con il suo avvocato?’
E io rispondo ‘mi dichiaro colpevole’. Era questo quello che dovevo dire, ed era questo quello che doveva dire anche il poliziotto che mi ha arrestato. Vogliono prendersi i punti e massacrare le persone. Io so quello che ho fatto, so quello che ho commesso, chiedo scusa a tutti e devo pagare la mia pena. Però la pena giusta non voglio pagare una pena per un poliziotto che si vuole prendere un punto in più”.
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