Al Mann parte la rivoluzione digitale con Luddy School of Informatics dell’Università del’Indiana.
Al via il progetto che, nel prossimo quinquennio, unirà il Museo Archeologico Nazionale di Napoli alla Luddy School of Informatics dell’Università dell’Indiana: proprio l’istituzione americana sosterrà la parte preponderante dell’impegno finanziario della ricerca, che avrà, spiega una nota del Mann, “lo scopo non solo di digitalizzare, ma soprattutto di rendere immediatamente fruibili a studiosi e pubblico manufatti lontani dalle luci delle sale espositive”.
Se ne parlerà oggi, alle 17 all’Auditorium del Museo, in una tavola rotonda che, trasmessa anche in diretta Facebook sulla pagina istituzionale dell’Archeologico, consentirà di focalizzare i passaggi di lavoro previsti.
“Il Metamuseo è un nuovo livello da raggiungere nella valorizzazione dei depositi per associare di nuovo i contesti, seppur in forma digitale. Lo facciamo con una nuova prestigiosa collaborazione internazionale, nello spirito di una ricerca condivisa con il mondo”, commenta il direttore del Mann, Paolo Giulierini.
“La Luddy School è sinonimo di progetti di vasta portata che fondono la tecnologia con il mondo reale e la nostra collaborazione con uno dei più grandi musei italiani. Collegare il nostro Virtual World Heritage Laboratory con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli mette in mostra i nostri punti di forza innovativi e ci mantiene in prima linea nelle opportunità educative e di ricerca internazionali”, sottolinea Joanna Mirecki Mullinchick, Dean della Luddy School of Informatics.
La realizzazione del MetaMuseo seguirà passaggi ben definiti nel progetto di studio: Cristiana Barandoni (Principal Investigator per il Mann e ideatrice del MetaMuseo), in collaborazione con Floriana Miele (Funzionaria archeologa e responsabile dell’Ufficio catalogo del Mann), selezionerà nei depositi i quattrocento reperti da digitalizzare, differenti per tipologia di materiali e contesti. A seguire, il complesso iter della riproduzione in 3D, coordinata dai professori Bernard Frischer e Gabriele Guidi, entrambi Co-direttori del Virtual World Heritage Laboratory.
Si partirà dall’acquisizione immagini di ogni opera, per generare il set più completo possibile di punti di vista della loro superficie. Da qui, la generazione di nuvole di punti tridimensionali, che rappresenteranno un campionamento della superficie del reperto. Le nuvole di punti saranno la premessa per la produzione di un modello superficie (modello mesh): in sintesi, un insieme di poligoni che, nel complesso, presenteranno la forma dell’oggetto. Decisivo, per garantire la fruibilità al pubblico, il passaggio alla mesh texturizzata, che restituirà l’aspetto visuale del manufatto, custodito in un repository digitale.
“Realizziamo un modello metrico, con veri e propri simulacri digitali dell’originale. Ne scaturisce un oggetto che non solo può essere destinato al pubblico di non addetti ai lavori, ma soprattutto agli studiosi anche per valutare ipotesi di restauro. Il tutto nasce da un lavoro non invasivo, che non contempla il contatto fisico con gli oggetti”, approfondisce Gabriele Guidi.
Il MetaMuseo avrà anche un taglio didattico, perché alle campagne di studio e acquisizione immagini parteciperanno allievi ed esperti: “Sono lieto che il nuovo collega, il prof. Gabriele Guidi, arrivato nella nostra università nel gennaio 2022 dal Politecnico di Milano, possa mettere a disposizione la sua vasta esperienza in questo progetto con il Mann. Il MetaMuseo è innovativo e offrirà ai nostri studenti e laureati una fonte infinita di argomenti per le loro ricerche”, aggiunge Bernard Frischer.
La prospettiva di lavoro resta, in ogni caso, legata in primis alla conservazione dei manufatti: “il MetaMuseo è un progetto che vuole tutelare e proteggere il patrimonio sommerso del Museo composto da reperti invisibili, ovvero non esposti per motivi di spazio, studio, conservazione. Sono forse opere meno note, ma altrettanto importanti per la ricerca: queste testimonianze, per sopravvivere, hanno bisogno di essere protette. E conosciute. Progettare e realizzare un’idea innovativa grazie alla collaborazione e al supporto economico dell’Università dell’Indiana è un’opportunità che non poteva non essere colta”, conclude Cristiana Barandoni.
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