Sarebbe come una partita a poker se non si trattasse di un efferato omicidio. E nel poker si bluffa. È una di quelle partite in cui l’unico vincitore, dodici anni dopo il delitto, è l’assassino, colui che ha tra le mani una vincita milionaria: la sua impunità.
È la storia dell’omicidio di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, ucciso il 5 settembre del 2010 alle ore 21,12. In questa storia gli orari e le date sono importanti. Fondamentali.
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La partita a poker è quella giocata in questi anni dai ‘giocatori’ noti e ignoti, che sono entrati e usciti dall’inchiesta giudiziaria. Un giro vorticoso di testimonianze, pezzetti di intercettazioni ambientali e telefoniche, affari, supposizioni, suggestioni, piste, e soprattutto incredibili circostanze che rilette oggi, dodici anni dopo, lasciano sgomenti e ingigantiscono gli interrogativi.
Molti sanno, molti tacciono e in tanti pensano di conoscere dettagli fondamentali spacciati per verità, salvo poi ritrattare all’ultimo momento davanti a un magistrato. Ma molti, questa è l’impressione, nascondono qualcosa per proteggere se stessi, i propri interessi, perdendo di vista l’obiettivo principale: la verità sulla morte del sindaco Pescatore.
Si scopre anche questo nel nuovo capitolo dell’inchiesta che ha portato, il 28 luglio scorso, ad emettere un decreto di perquisizione a carico di nove indagati. Spuntano nuovi testimoni eccellenti a partire da un noto avvocato penalista, impaurito e in lacrime che rivela particolari ‘inquietanti’ sull’assassinio salvo poi ritrattare. E un carabiniere per il quale si allude ad un coinvolgimento diretto nel delitto di Vassallo: il suo alibi è traballante per colpa di una telefonata fatta due minuti dopo l’omicidio.
È quanto emerge dalle ‘carte’ depositate nei giorni scorsi dal pm Marco Colamonici della procura antimafia di Salerno nell’ambito del provvedimento di perquisizione e sequestro a carico di tre carabinieri, quattro imprenditori, due camorristi oggi pentiti, accusati a vario titolo di omicidio aggravato e traffico di stupefacenti.
La morte di Angelo Vassallo coinvolge un paese intero: Pollica. E coinvolge molti di quelli che in nell’estate di dodici anni fa sono nella sua frazione balneare: Acciaroli.
La storia di questo delitto, però, esce spesso dai confini del paese del Cilento per lambire e coinvolgere altri personaggi, tutti protagonisti di una trama oscura e inspiegabile. Da paura.
È una storia nella quale spesso si perde di vista il labile confine tra ‘buoni’ e ‘cattivi’. Tra amici e nemici di Angelo Vassallo. Tra coloro che ne avevano a cuore le sorti in vita e che sono spinti, ora, da un desiderio di verità e di giustizia e coloro che invece cercano solo un momento di protagonismo e celebrità. O, ancor peggio, un sollievo per la propria coscienza, per l’ignavia e il silenzio.
L’inchiesta è una grande partita a poker nella quale una ‘mano’ vincente si tramuta spesso in un grande bluff.
Alla vigilia del dodicesimo anniversario della morte del sindaco ‘Pescatore’, i magistrati provano a riannodare i fili, sottili, trasparenti, rimasti nascosti in questi anni e a dare un nuovo impulso all’inchiesta archiviata prima senza colpevoli e poi riaperta nel 2018.
Quei fili sono rimasti lì, nei fascicoli giudiziari per anni. Vengono riannodati attraverso nuovi interrogatori e collegamenti rimasti inesplorati per troppo tempo e che riletti con il senno di poi lasciano sconcertati, finanche affranti, per quella che potrebbe essere la verità.
Il 28 luglio scorso, nell’anno 2022, il ‘colpo di scena’ che riporta il caso Vassallo nuovamente al centro dell’attività investigativa e alla ribalta delle cronache giornalistiche: il decreto di perquisizione emesso dalla Procura distrettuale antimafia di Salerno. La perquisizione viene disposta nell’ambito di un fascicolo iscritto nel 2021 come modello 44, cioè contro persone ‘ignote’, tramutato nel 2022 in un procedimento penale a carico di nove persone. I nomi sono ormai noti.
Indagati a vario titolo per l’omicidio di Angelo Vassallo e per un traffico di stupefacenti sono tre carabinieri, in primis il tenente colonnello Fabio Cagnazzo, il suo autista e collaboratore Luigi ‘Ginetto’ Molaro, solo apparentemente figura di secondo piano nell’inchiesta, e l’ex brigadiere Lazzaro Cioffi, un militare che nel 2018 viene arrestato e condannato a 15 anni di reclusione per i suoi legami con il clan Fucito di Caivano.
Insieme ai tre militari ci sono due collaboratori di giustizia, Romolo e Salvatore Ridosso, padre e figlio di Scafati. E poi quattro imprenditori: i fratelli Domenico, Giovanni e Federico Palladino di Pollica e Giuseppe Cipriano di Scafati. C’è un decimo uomo, Raffaele Maurelli anch’egli imprenditore, coinvolto e poi scagionato in un traffico internazionale di droga. È morto alcuni mesi fa ma il suo nome non può essere ignorato, la Procura lo lega alla morte di Angelo Vassallo come il possibile mandante. Almeno così sembra. Ma a giudicare dalla ricostruzione della Procura potrebbe non essere il solo ad aver voluto la morte di Angelo Vassallo.
I nove indagati appartengono a mondi completamente diversi eppure nella vicenda dell’omicidio sembrano essersi tutti incrociati in modo determinante. Un particolare lega tutti insieme, secondo gli inquirenti, il traffico di droga.
La Procura antimafia di Salerno punta l’intera ricostruzione, questa volta, su un unico personaggio: il tenente colonnello Fabio Cagnazzo. Un ufficiale dell’Arma pluridecorato, autore di centinaia di arresti, ritenuto un fine investigatore, finanche geniale nel suo lavoro, che negli anni in cui alcuni pentiti della provincia di Napoli lo tirano in ballo paventando il suo coinvolgimento in affari loschi riceve una lettera di solidarietà da 26 pubblici ministeri della Procura di Napoli. Succede alla fine del 2010, lo stesso anno in cui viene ucciso Angelo Vassallo.
Quella solidarietà dei magistrati, mai prima di allora espressa così apertamente e con convinzione nei confronti di un esponente delle forze dell’ordine, stride oggi con quello che scrivono gli inquirenti salernitani su sull’ufficiale dei carabinieri.
In un’informativa di 66 pagine, depositata dai carabinieri del Ros di Salerno il 15 luglio 2022, viene tracciato un identikit del tenente colonnello a tinte fosche. L’ufficiale viene descritto come colui che ha ideato un ‘castello di falsità e di manipolazioni’ a proposito dell’acquisizione dell’impianto di videosorveglianza del negozio di Bernardo La Greca usato per sviare le indagini.
Cagnazzo, nella ricostruzione della Procura, gioca su più tavoli e in diversi ruoli: la ‘guardia’, il ‘trafficante di droga’, il ‘paladino’ della giustizia, l’amico fraterno degli imprenditori Palladino e il traditore dei familiari di Vassallo, in particolare di Giusy la figlia della vittima, colei alla quale ha promesso di trovare gli assassini del padre in pochissimo tempo.
La promessa però è rimasta tale, qualcosa subito dopo l’omicidio e negli anni successivi non è andata nel verso giusto.
Per gli inquirenti Cagnazzo è a ‘tratti abile manovratore’ di tutti i personaggi che lo circondano. Ma anche, a giudicare da quello che emerge dagli atti, un pasticcione che si muove in modo disordinato, avventato, nel coprire prove importanti dell’inchiesta e a dare ordini al suo sottoposto il carabiniere ‘Ginetto’ Molaro. Quest’ultimo è il suo autista e factotum ed è colui che, il 6 settembre del 2010, poche ore dopo la scoperta del corpo senza vita di Vassallo, visiona le immagini di una telecamera di videosorveglianza del negozio di La Greca e ne acquisisce il video il 10 settembre del 2010.
Quell’acquisizione, secondo la Procura, viene fatta per depistare le indagini. Si scopre, infatti, che Molaro su ordine di Cagnazzo o comunque con la sua supervisione ‘taglia’ ad arte i fotogrammi di quelle immagini, nasconde data e ora, mente su alcune circostanze e consegna alla Procura di Salerno un fascicolo pilotato per incolpare un innocente. Questo è quello che emerge dall’inchiesta. Molaro che secondo alcuni testimoni ha un vera a propria venerazione per il suo capo esegue gli ordini di Cagnazzo.
L’ufficiale e il suo autista sono in vacanza ad Acciaroli quando Vassallo viene ucciso. Molaro in quei giorni è ufficialmente in convalescenza per la verità, e anche questo particolare viene sottolineato dagli inquirenti che paventano una truffa ai danni dello Stato per una finta malattia.
Cagnazzo e Molaro pur non avendo nessuna delega e nessun ruolo nelle indagini si intromettono nell’inchiesta prelevano la telecamera che registra gli ultimi movimenti del sindaco sul porto di Acciaroli, ascoltano possibili testimoni, manipolano le immagini estrapolate dalla telecamera per – sostiene la Procura – insabbiare e nascondere i veri colpevoli del delitto e indirizzare le indagini in una direzione sbagliata. Questa è la tesi.
Entrambi raccontano di avere delle convinzioni sul movente che ha armato la mano del killer, ma nelle prime ore queste convinzioni sono divergenti. Molaro sostiene che Vassallo è stato ucciso per aver scoperto lo spaccio di droga. Cagnazzo ipotizza un movente passionale. Dicono alcuni testimoni. Le divergenze durano il tempo di un giorno. Poi sulle due tesi prevale la prima: quella della droga, quella di Molaro che anche nelle intercettazioni telefoniche si vanta di aver visto giusto e di essere convinto che l’assassino è uno spacciatore.
Inizia, così, quello che la Procura sostiene essere un maxi depistaggio.
Il responsabile dell’omicidio è per Cagnazzo e per il suo braccio destro Molaro un pusher di poco spessore, Bruno Humberto Damiani il ‘brasiliano’, il fornitore di cocaina di molti protagonisti di questa vicenda a partire da Francesco Avallone, fidanzato di Giusy Vassallo, la figlia del sindaco, e fornitore di cocaina di Bernardo La Greca (il proprietario del negozio dal quale viene prelevata la telecamera, indagato per spaccio e poi scagionato ndr). Damiani rifornisce molti insospettabili, alcuni dei quali sono transitati fugacemente negli atti dell’inchiesta come testimoni o come sospettati.
Lo spacciatore Damiani rappresenta il ‘colpevole ideale’. Quello sul quale – scrivono gli inquirenti nell’informativa del 15 luglio – si concentra ‘uno sforzo investigativo incredibile’ durato anni, prima che la procura si convinca che è innocente.
La tesi Cagnazzo-Molaro sul ‘brasiliano’, in quei mesi, viene sposata anche dai vertici della Procura di Salerno a giudicare dalle dichiarazioni, rilasciate il 17 novembre 2010 dal procuratore capo di Salerno Franco Roberti al quotidiano ‘La città’: ‘Presto avremo notizie concrete… oggi abbiamo finalmente una pista precisa, una pista che potrebbe portarci presto al capolinea”.
Roberti in quel frangente commenta la notizia della telecamera prelevata da Cagnazzo, una notizia che già all’epoca fa scalpore, un gesto che per la sua irritualità è sospetto. Eppure Roberti si espone: ‘La telecamera l’abbiamo recuperata, questo significa che non aveva nulla da nascondere (dice riferendosi a Cagnazzo, ndr)’ e sostiene che ‘è stata prelevata per impedire che le immagini venissero perse’. Roberti si spinge anche oltre: “Nei filmati si vede un uomo e non è escluso che sia proprio l’assassino”. Si riferisce probabilmente a Damiani, il giovane che si vede nei filmati seguire il sindaco Vassallo, almeno così sembra.
Cagnazzo secondo quanto fa apparire il Procuratore ha dato un contributo importante alla scoperta dell’assassino di Vassallo.
Oggi la Procura sostiene tutt’altro.
Innanzitutto, si scopre oggi, che per la consegna del filmato e dell’impianto di videoregistrazione prelevato da Molaro e consegnato a Cagnazzo la Procura ha dovuto fare un atto di imperio. Il 20 settembre del 2010 ha disposto, infatti, il sequestro del video e della telecamera presso l’ufficio della caserma di Castello di Cisterna dove era custodito il materiale perchè l’ufficiale ‘tentenna’ nella consegna.
Le relazioni e gli accertamenti recenti sulle foto estrapolate dall’ufficiale e dai suoi uomini e consegnate in un fascicolo in quei giorni del 2010, parlano di macroscopiche manomissioni fatte dai carabinieri. È possibile che quelle manomissioni non siano state notate proprio in quei primi mesi di indagine quando sul caso Vassallo sono proiettati una squadra di magistrati e di abili inquirenti che lavorano senza sosta sul caso?
A giudicare da quanto si legge negli atti del decreto di perquisizione dei giorni scorsi nessuno, all’epoca, ha avuto dubbi concreti che si stesse mettendo in atto un depistaggio. O forse è stata un’ipotesi neanche presa in considerazione almeno fino a due anni fa quando si è cominciato ad indagare, intensamente, su Cagnazzo e suoi uomini, oltre che sulla ‘costruzione’ della pista Damiani e sulle immagini del video ‘artefatte’.
Emerge oggi che proprio nei giorni successivi al delitto su Cagnazzo girano già strane voci. Forse messe ad arte, forse no.
Il primo a diffonderle è Pierluca Cillo, un agente immobiliare, anche lui inserito nella cerchia dei frequentatori di Acciaroli. Uno dei personaggi strani di questa inchiesta, da alcuni definito ‘sui generis’. Cillo racconta in giro che Vassallo prima della sua morte gli ha confidato di aver scoperto un ‘traffico’ di droga ad Acciaroli organizzato dal tenente colonnello Cagnazzo e di un ‘deposito’ di proprietà dei fratelli Palladino a Torre Kaleo nel quale viene stoccato lo stupefacente. La droga arriva con dei gommoni che approdano al ‘moletto’ nel porto. Vassallo se n’è accorto ha scoperto tutto, racconta Cillo, per questo è stato ucciso.
L’agente immobiliare confida questi particolari a Francesco Avallone, pochi giorni dopo il delitto. Quest’ultimo ne parla con la sua fidanzata Giusy Vassallo, la figlia del sindaco. La rivelazione è talmente deflagrante che la ragazza cerca Cagnazzo che ritiene suo amico e gli racconta tutto. Gli dice delle illazioni di Cillo. Quando tutto questo avviene la vicenda della telecamera si è già consumata.
Il 4 ottobre del 2010 la ragazza racconta tutto agli inquirenti in un interrogatorio. “Il mio fidanzato Francesco mi ha riferito che Luca Cillo gli ha detto che Fabio Cagnazzo c’entra nell’omicidio di mio padre. Cillo ha detto che Fabio Cagnazzo aveva una base di droga in Acciaroli e che la droga era custodita in un terreno dei Palladino”.
La giovane si lascia andare e dice anche altro. Racconta che quando ha riferito di quanto andava dicendo Cillo a Cagnazzo e a Molaro quest’ultimo ha avuto una reazione strana: “Avendo notato l’atteggiamento di Molaro temetti che potesse prendere la pistola e spararmi” dice Giusy Vassallo. Cagnazzo è arrabbiato. Si vendica, una sera incontra Cillo ad Acciaroli e lo picchia, l’agente immobiliare lo denuncia salvo poi ritirare le accuse e negare anche di aver messo in giro le voci sul conto di Cagnazzo e dei Palladino.
Passeranno altri anni prima che il racconto di Cillo venga approfondito. È il 2013. Silvia Pisapia, all’epoca vicesindaco, oggi sindaco di Casal Velino, racconta al suo amico Giuseppe Cilento – sindaco di San Mauro Cilento e amico di Vassallo – la versione di Cillo, quella che l’uomo frequentando il Comune di Casal Velino le ha confidato.
Cilento è incredulo contatta l’allora capo della Dia di Salerno, poi dirigente della squadra mobile, Claudio De Salvo e gli racconta quello che ha saputo. La donna viene interrogata e conferma tutto.
De Salvo viene sentito dagli inquirenti nel giugno del 2021. “Mi sono occupato delle indagini su Vassallo – dice nella sua deposizione – e delle intercettazioni all’allora maggiore dei carabinieri Fabio Cagnazzo e del carabiniere Luigi Molaro. Ricordo che condivisi le perplessità circa una serie di comportamenti tenuti dal maggiore Cagnazzo”. In particolare De Salvo parla di ‘atteggiamento estremamente invasivo e poco ortodosso per un ufficiale di Pg sul luogo del delitto’.
Ma il dirigente della squadra mobile, lo scorso anno, ricorda agli inquirenti un’altra vicenda a suo dire ‘più rilevante’, oltre all’interrogatorio di Silvia Pisapia, sulla quale è stato già ascoltato in passato. De Salvo parla degli incontri con un notissimo e stimato avvocato penalista, frequentatore di Acciaroli e per un certo periodo anche legale di Fabio Cagnazzo, proprio per il pestaggio a Cillo.
L’avvocato (di cui omettiamo il nome, ndr) – dice De Salvo – ‘manifestò le sue perplessità su quest’ultimo (Cagnazzo, ndr) in stato di evidente partecipazione emotiva tanto che si mise a piangere, esprimendomi il suo stato di paura per quanto mi stava riferendo”.
Il dirigente, in realtà, ripercorre le fasi delicate di queste rivelazioni fatte dall’avvocato già nel febbraio del 2013. In quell’occasione racconta che il legale, amico di Angelo Vassallo, gli ha detto in via del tutto ‘confidenziale’ e senza voler verbalizzare per motivi deontologici, di avere sospetti su Fabio Cagnazzo e Luigi Molaro in merito all’omicidio.
Il testimone espone a De Salvo una serie di circostanze apprese sull’omicidio ed in particolare di aver assistito a casa di Giovanni Palladino ad una conversazione che lo avrebbero convinto del coinvolgimento di Cagnazzo e Molaro nel delitto del sindaco. Dice che l’ufficiale dei carabinieri può aver esercitato delle pressioni sui fratelli Palladino affinché confermassero che il carabiniere Molaro la sera dell’omicidio non si è mai allontanato dal gruppo. Invece così non è.
Quella sera del 5 settembre, infatti, Cagnazzo e Molaro insieme ad un gruppo di amici sono al porto di Acciaroli per una cena nel ristorante di Claudio Vassallo, il fratello del sindaco. I due arrivano insieme in motorino ma evidentemente Molaro, poco dopo, si allontana. Alle 21,14, due minuti dopo che Angelo Vassallo è stato ucciso, infatti, dal telefono del carabiniere parte una telefonata verso il cellulare di Cagnazzo.
L’ufficiale non risponde. La circostanza fa presumere che i due non siano insieme in quel momento. Per gli inquirenti è una sorta di segnale. Ma che tipo di segnale? La suggestione forte che emerge dagli atti resi noti in questi giorni è che Molaro si sia allontanato per qualche ragione dal porto di Acciaroli. E se così fosse non ha un alibi per il lasso di tempo in cui Vassallo ha lasciato il porto di Acciaroli ed è stato ucciso.
È questo quello che spinge l’avvocato a ipotizzare un coinvolgimento dei due carabinieri nell’omicidio? È questo quello che spinge il legale a dire di avere paura e a piangere con il dirigente della squadra mobile che vuole convincerlo a verbalizzare le sue dichiarazioni? Anche questi sono interrogativi che per il momento rimangono senza risposta. L’avvocato, infatti, interrogato dai magistrati nel maggio del 2013, ’ridimensiona’ le sue deduzioni. Minimizza. E sulla circostanza che il colonnello Cagnazzo abbia chiesto ai Palladino di confermare che Molaro non si è allontanato dal ristorante, l’avvocato si rifiuta di rispondere. In quel periodo, infatti, il legale è il difensore dell’ufficiale nel procedimento giudiziario nato dal pestaggio di Cillo.
Anche nel 2013 la pista che oggi viene esplorata dagli inquirenti ha una battuta di arresto.
Il coinvolgimento di Cagnazzo rimane sullo sfondo come anche il presunto depistaggio. Si segue ancora il filone che coinvolge Damiani che per anni rimane l’unico indagato ufficiale nell’inchiesta.
Il coinvolgimento e il nome di un altro carabiniere, anch’egli legato a doppio filo a Cagnazzo, arriva nel fascicolo processuale nel 2014. E torna anche la pista del traffico di stupefacenti scoperta dal sindaco pochi giorni prima di morire. Questa volta la racconta un pregiudicato, poi pentitosi: Salvatore Ridosso.
Il giovane rampollo di un clan di Scafati contatta un carabiniere che conosce da tempo per raccontargli dei particolari ‘incredibili’ sulla morte di Vassallo. Il pregiudicato, all’epoca tra i promotori di un gruppo criminale, fa il nome di Lazzaro Cioffi, un vicebrigadiere in servizio a Castello di Cisterna nella squadra investigativa guidata da Cagnazzo.
Il camorrista sostiene che Cioffi è coinvolto in affari loschi e che gli ha rivelato di essere sospettato per la morte del sindaco di Pollica. Il pregiudicato fa anche altri nomi, in particolare quello di Giuseppe Cipriano, il gestore di una sala cinematografica ad Acciaroli e a Scafati, parente di un grosso trafficante di stupefacenti, Raffaele Maurelli. Per Ridosso Cipriano e Maurelli fanno arrivare a Pollica la droga e Lazzaro Cioffi lo sa bene. Racconta, inoltre, che nei giorni precedenti all’omicidio insieme al padre Romolo e a Giuseppe Cipriano è andato ad Acciaroli.
Cipriano ha chiesto loro di fare un sopralluogo per picchiare qualcuno, uno importante. Ma anche questa è una vicenda poco chiara. Salvatore Ridosso si mantiene sul vago, svincola qualsiasi responsabilità per la morte di Vassallo. Addirittura sostiene di essere stato coinvolto da Cipriano che gli ha teso un tranello. Ma su una cosa è certo: esiste un traffico di droga che coinvolge Acciaroli e Pollica e i carabinieri, almeno Cioffi, è uno che fa affari poco limpidi. Vassallo, secondo Ridosso, è stato ucciso perchè ha scoperto tutto e non ha voluto tacere, nonostante Maurelli lo abbia ricattato e abbia cercato di corromperlo.
Nel 2016, Salvatore Ridosso ormai pentito viene nuovamente interrogato. Conferma gran parte di quelle dichiarazioni rese due anni prima. Ma secondo gli inquirenti il pentito non dice tutto quello che sa. Dovranno passare altri sei anni prima che le sue rivelazioni vengano agganciate ad altre testimonianze e venga rivisto il ruolo dei carabinieri, degli imprenditori e di tutti quelli che ruotano intorno a questa vicenda.
strong>Rosaria Federico
2.continua
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