Un autentico pilastro della cultura internazionale. Cosa augurare al maestro Roberto De Simone che oggi compie ottantanove anni? Innanzitutto tanta salute e poi di vivere ancora a lungo dedicandosi alle sue ricerche e magari regalandoci qualche altra opera.
A partire dagli anni 70 è stato il catalizzatore della scena partenopea con lo studio del mondo popolare campano attraverso la valorizzazione della tradizione contadina e la riscoperta delle fiabe che culminò nell’allestimento de “La Gatta Cenerentola”.
Pubblico uno stralcio della lunga intervista che mi concesse quasi venticinque anni fa dopo la prova generale de La Gatta Cenerentola che si tenne al Montil di Castellammare.
Cosa simboleggia Cenerentola?
Cenerentola è una delle fiabe più diffuse in area europea addirittura un inglese ha raccolto tremila varianti. Personalmente allargo il tiro esplorandola nel corso del tempo; infatti alcuni riferimenti si trovano già nella favola della Gatta e Afrodite attraverso la quale si arriva ai miti egizi di carattere sacro. Cenerentola rappresenta la femminilità con tutte le sue valenze, col suo essere madre, figlia, sorella, sposa, prostituta. Insomma tutto quello che si vuole”.
Il teatro di Viviani, che lei ha messo in scena in più di un’occasione.
“Non vorrei fare un discorso sul teatro partenopeo oppure su quello italiano in quanto riduttivi ma mi piacerebbe ordire una trama di respiro europeo. A questo livello un autore può definirsi tale solo se il suo teatro può appartenere a tutti. Parlare semplicemente di teatro napoletano, soprattutto oggi che i mass media hanno annullato le distanze, significherebbe ridurre la portata storica dell’opera vivianea. Anzi bisognerebbe fare di tutto affinché la si liberi e la si sganci da qualsiasi connotazione locale”.
Maestro esiste oggi in Italia un progetto culturale ben definito?
“Questo è uno dei periodi più bui per la nostra nazione, c’è un degrado culturale spaventoso. Non essendo un fatto museale, la cultura vive nel momento in cui si attivano scuole e seminari per i giovani. In particolare per Napoli e la sua provincia manca un progetto culturale e per elaborarlo occorrono persone che dovrebbero saper alzare la voce nel momento in cui si assiste a dei guasti. Spesso mi sono attirato antipatie e inimicizie perché rilevavo determinate incongruenze e non stavo a vedere se provenivano da destra, sinistra o centro. Quando ci sono delle situazioni anomale bisogna denunciarle e basta, invece molti tacciano per prudenza o per politica, ma così non si fa cultura”.
Come definirebbe Totò?
“Come un grande letterato del teatro nel senso che la sua è una scrittura somatica, articolata sul suo corpo. Ciò conferisce modernità a questo personaggio che è più vivo di facondi autori teatrali. Ripeto si tratta di una letteratura somatica, di una scrittura teatrale del gesto. La stessa affermazione la si può fare con Chaplin, infatti il testo recitato da Charlot non può essere isolato dalla sua persona”.
Qual è la scintilla dell’arte?
“L’autoironia che è la base sia del teatro che della letteratura come della musica. I grandi ci danno lezione in questo senso. Mi viene da pensare al Don Giovanni quando Mozart piglia in giro se stesso con l’aria delle Nozze di Figaro. Oppure a Stravinskij”.
E a proposito di San Catello, il patrono della Città stabiese, cosa può dirci?
“Me ne sono occupato quando venivo qui a Castellammare negli anni 70 a trovare Annibale Ruccello. E’ un santo molto interessante, ha un’articolazione di leggende, miti, tradizioni molto particolari”.
Lunga vita al maestro De Simone
Pierluigi Fiorenza
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