Dopo quasi cinque secoli e’ stata diagnosticata un’infezione causata dal batterio Escherichia coli: la diagnosi riguada la mummia del nobile italiano Giovanni d’Avalos, morto nel 1586 all’eta’ di 48 anni e i cui resti sono stati recuperati nel 1983 dalla Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli.
I ricercatori, guidati dall’Universita’ canadese McMaster e con il fondamentale contributo italiano delle Universita’ di Pisa e di Catania, hanno estratto un calcolo biliare dal corpo mummificato del nobile, riuscendo a individuare l’antico Dna del batterio che lo infettava al momento della morte. Lo studio, pubblicato sulla rivista Communications Biology, aiutera’ a comprendere come si e’ evoluto e adattato nel corso del tempo Escherichia coli e quanto puo’ essere dannoso per l’uomo.
I ricercatori, guidati da George Long, hanno esaminato i resti di Giovanni d’Avalos, che soffriva di un’infiammazione cronica della cistifellea a causa di calcoli biliari. Raccolti i campioni, gli autori dello studio hanno dovuto isolare meticolosamente i frammenti del batterio bersaglio, molto degradati a causa della contaminazione ambientale, e hanno poi utilizzato il materiale recuperato per ricostruirne il Dna.
Il confronto fra il batterio di cinque secoli fa e quello del batterio moderno ha rivelato che l’antico ceppo mancava dei geni chiave che gli avrebbero consentito di infettare le cellule e causare malattie. Cio’ suggerisce che l’infezione si era sviluppata nella cistifellea dell’uomo probabilmente senza indurre sintomi.
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