Tutti assolti “perché il fatto non sussiste” i 14 imputati del processo riguardante il filone delle cosiddette consulenze d’oro nell’ambito del crac di Banca Etruria. Questo il verdetto emesso dalla giudice del tribunale di Arezzo Ada Grignani.
Tra gli imputati per le accuse di bancarotta semplice figurava anche l’ex vicepresidente della Banca Pier Luigi Boschi, padre dell’ex ministra e attuale capogruppo di Italia Viva alla Camera Maria Elena Boschi. Secondo la procura, che aveva chiesto condanne che variavano da un massimo di un anno, per Boschi e altri tre, a 8 mesi, le consulenze avrebbero pesato sulla situazione di Banca Etruria per circa 4 milioni di euro.
Erano incarichi affidati dall’istituto di credito a società specializzate per valutare, analizzare e poi avviare il processo di fusione con un istituto di elevato standing per evitare il crac. A proporre lo scenario della fusione furono le autorità bancarie che avevano individuato in Banca Popolare di Vicenza il possibile partner dell’operazione.
Le consulenze furono affidate comunque, ma nulla di quanto analizzato e valutato si concretizzò. Per l’accusa si trattò di “consulenze inutili e ripetitive“. Per l’avvocato Lorenza Calvanese, legale di parteitacivile in rappresentanza dei risparmiatori della Banca, che aveva sostenuto le richieste dell’accusa, “non c’era solo un problema di solvibilità dell’istituto di credito, ma anche un aspetto politico sottolineato dal presidente della Consob Giuseppe Vegas di fronte alla commissione parlamentare su Banca Etruria, quando ha raccontato che Maria Elena Boschi volò da lui per un colloquio“.
I legali degli imputati nelle loro arringhe finali, invece hanno tutti sostenuto che non ci furono “operazioni imprudenti, piuttosto un’azione doverosa rispetto a quanto chiesto da Banca d’Italia”, e per questo i vertici di Banca Etruria si erano mossi affidando ai migliori advisor d’Italia le consulenze.
Nell’ambito del filone principale per il crac di Banca Etruria, il primo ottobre scorso il tribunale di Arezzo ha assolto 22 imputati dalle accuse di bancarotta fraudolenta e semplice, reati che per i giudici non furono compiuti. Il collegio, presieduto da Gianni Fruganti, ha condannato solo l’imprenditore Alberto Rigotti, a 6 anni. La procura di Arezzo ha presentato ricorso in appello.
In precedenza, però, il gup Giampiero Borraccia, nell’ambito della stessa inchiesta, aveva già condannato a cinque anni di reclusione per bancarotta fraudolenta l’ex presidente dell’istituto di credito aretino Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale Luca Bronchi, a due anni l’ex vice presidente Alfredo Berni per bancarotta fraudolenta e a un anno l’ex membro del cda Rossano Soldini, per bancarotta semplice.
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