Sarà ”Bazin”, il nuovo spettacolo di Giancarlo Sepe che debutta domani sera, a inaugurare la 50/a stagione del Teatro la Comunità, l’unica cantina della neoavanguardia romana degli anni ’70 ancora in attività, anzi divenuta un punto di riferimento nel panorama del teatro romano, anche prima di quest’anno tragico e con tante sale chiuse.
”Quando nel 1972 entrai negli spazi del sottoscala in via Gigi Zanazzo, che era un deposito della carta della Zecca di Stato – ricorda Sepe – avevo 26 anni, alcuni spettacoli alle spalle di autori che andavano da Kafka a Lorca, da Sartre a Beckett, più due anni prima quei ‘Misteri dell’amore’ di Vitrac che avevano attratto l’attenzione della critica più importante”.
Per inaugurare il nuovo spazio scelse ”Ubu Roi” di Jarry, che fu un successo. Seguirono altri spettacoli, a cominciare dal meraviglioso e musicale ”Scarrafonata” che girò poi tutta Italia, e quindi l’acclamato ”In albis”, che venne invitato al Festival di Spoleto dove debuttò anche ”Accademia Akermann”, titoli oramai storici che dettero a Sepe (e al suo teatro) solida notorietà.
Su questa base, in collaborazione col suo grande scenografo di quegli anni, Uberto Bertacca, nel ’78 venne ristrutturato definitivamente lo spazio con una scelta che privilegiava le necessita’ dello spettacolo con un palcoscenico profondo 20 metri e una scalinata per il pubblico di meno di 10.
”Ora di anni ne ho ovviamente 76 e il teatro La Comunità ancora esiste, perché l’ho sognato, pensato e allestito io, con grandi sacrifici. Di un locale sotterraneo disadorno, senza luce e umido, ho fatto un vero e proprio teatro, con un palcoscenico, dei camerini, una platea, un piccolo ufficio’‘.
Quasi un terzo dei 106 spettacoli firmati in una vita da Sepe sono nati alla Comunità, mentre diventava il regista di Lilla Brignone e di Umberto Orsini, che gli aprirono le porte dei grandi teatri italiani. Tra l’altro ha creato memorabili lavori per Mariangela Melato, con cui collaborò per sei anni, cinque anni con Monica Guerritore e 20 anni con Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice, ma ha anche firmato un memorabile ”Conversazioni con la madre” per Beppe e Concetta Barra.
E nel frattempo portava avanti un lavoro più sperimentale e visionario, teatrale ma come sempre con un occhio particolare al cinema e un orecchio alla musica, in quel locale dove – dice con passione -” prima erano solo topi e oggi vi sono cresciuti tanti giovani con la voglia di far teatro”, partecipando a creazioni di Sepe che, solo per fare alcuni nomi, vanno da ”Macbeth” a ”Atto senza parole”, da ”Favole di Oscar Wilde”, replicato alla Comunità per quattro anni, ai ”Dubiners”, da ”Werther a Broadway” a ”Amleto”’.
Su questa linea è nato ora ”Bazin”, in coproduzione La Comunità col Teatro Diana di Napoli e il Teatro della Toscana. André Bazin è stato il creatore dei ”Cahiers du cinema” e ha sostenuto giovani critici rendendoli poi registi, creando la nouvelle vague francese e morendo nel 1958 a 40 anni, mentre il suo allievo prediletto, Truffaut, stava iniziando a girare ”I 400 colpi” che lui non avrebbe mai visto.
”Destino triste di un uomo sfortunato, poco amato per la sua rigidità e il suo carattere spigoloso, che quindi mi ha affascinato”, racconta Sepe, ricordandolo sospettoso del lavoro di montaggio e favorevole al piano sequenza, teorico di quel che Ronoir realizzò con ”Le regole del gioco”.
Cattolico e comunista aveva una particolare fede nel cinema documentario, di testimonianza divulgativa, ma da intellettuale poi si chiedeva sempre: ”Siamo sicuri che quel che vediamo sia la realtà?”.
Sepe è partito da questa domanda è ha costruito una Bazin story assolutamente fantastica, visionaria e inventata, ambientata nella notte in cui muore. Nei panni del critico francese c’è Pino Tufillario e con lui, tra gli altri, Margherita Di Rauso, David Gallarello e Fedrica Stefanelli. Si replica sino al 12 giugno.
Una prima che è anche una festa per questi 50 anni, che si trovera’ poi il modo per ricordare e festeggiare nello specifico, e cui saranno presenti in spirito tutti coloro che sono stati soci della Comunità, che come associazione culturale doveva e deve tesserare gli spettatori.
Si va da Eduardo De Filippo a Federico Fellini, Mario Monicelli, Alberto Moravia, Vittorio Gassman, Alberto Lionello, Maurice Bejart, Giulietta Masina, Romolo Valli, Giorgio De Lullo, Paolo Stoppa, Lilla Brignone, Patroni Griffi e tanti altri nomi di tutta la cultura italiana.
Gli stessi che testimoniarono nel 1978, quando la polizia tentò di chiudere La Comunità, in favore di questo luogo, ”per il suo valore e importanza di spazio anomalo e fondamentale, perché testimone della libertà dell’ispirazione teatrale non soggetta a vincoli di cassetta”, come ricorda oggi con orgoglio Giancarlo Sepe.
Articolo pubblicato il giorno 25 Maggio 2022 - 13:06