Napoli. A distanza di due anni continua il calvario dei parenti di Debora Galluccio, uccisa a soli 34 anni dal covid in seguito ad un contagio avvenuto presso l’ospedale Cardarelli , dove la giovane era ricoverata per essere sottoposta ad un ciclo di terapie chemioterapiche.
Il marito della 34enne, Stefano Cesaro, rimasto da solo a crescere tre bimbi, non si da pace e chiede giustizia insieme alla mamma, alle sorelle e al fratello della vittima.
Per questo motivo il legale della famiglia, l’Avv. Maddalena de Rosa, ha inoltrato la citazione con la quale ha chiesto all’Azienda Ospedaliera Antonio Cardarelli il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali e patrimoniali, subiti e subendi, nonché del danno morale, per le responsabilità della struttura sanitaria nei confronti della paziente, ritrovatasi ricoverata in un reparto interessato da un focolaio di infezioni da covid-19.
In particolare le famiglie Cesaro e Galluccio, distrutte per l’improvvisa perdita della congiunta e per le modalità che hanno visto le condizioni della giovane donna precipitare inaspettatamente durante i giorni di Natale 2020 a causa del contagio da coronavirus, denunciano l’inosservanza delle più elementari regole igienicosanitarie e la violazione delle normative di sicurezza in materia di prevenzione e protezione da contagio Covid 19, nonostante all’epoca fossero già acclarate.
“Gravi carenze, non soltanto strutturali, ma soprattutto organizzative e gestionali che, come sarà dimostrato in corso di giudizio, hanno determinato nella struttura un focolaio di infezione da COVID 19, che ha condotto alla morte più pazienti, anche dello stesso reparto”, ha precisato l’Avv. De Rosa.
Nello specifico Debora Galluccio, venne ricoverata il 7 dicembre presso il reparto di ematologia del Cardarelli, previa esecuzione di tampone per covid 19, con esito negativo, per essere sottoposta ad un nuovo ciclo di terapie chemioterapiche atte a curare la patologia da cui risultava affetta (leucemia); tre giorni dopo il ricovero, venne eseguito un nuovo tampone laringo-faringeo per COVID 19, come da protocollo, con esito negativo.
Il 14 dicembre, venne eseguito nuovamente il tampone alla paziente che questa volta risultò positiva, fu così disposto l’isolamento e il suo trasferimento in reparto COVID 19. Nel tardo pomeriggio gli venne rilevata la comparsa di febbre e velocemente l’infezione contratta aggravò il suo stato di salute, conducendola alla morte il 27 Dicembre.
Anche il parere medico legale, redatto dal Prof. Dott. Maurizio Municinò, non lascia spazio ad alcun dubbio circa la responsabilità sanitaria del contagio, concludendo che “sussistono profili di responsabilità assistenziale a carico dei sanitari dell’A.O.R.N. Cardarelli di Napoli a causa della loro condotta inidonea igienico sanitaria degli ambienti e del personale operante. Debora, che in quanto soggetto immunodepresso richiedeva una maggiore prudenza e diligenza nell’assistenza, contrasse l’infezione da SARS COV2 con conseguente sviluppo di polmonite interstiziale bilaterale, grave insufficienza respiratoria ed exitus da arresto”.
Il marito Stefano, sottolinea: “Debora era malata, ma con l’aiuto dei medici stava migliorando e a breve si sarebbe dovuta sottoporre a cure sperimentali che le avrebbero consentito di crescere con me i nostri figli, purtroppo tutto questo ci è stato strappato.
Una orribile beffa, se consideriamo anche i mesi di isolamento a cui è stata costretta in ospedale senza poter vedere i nostri bimbi e tutti noi, quando nel frattempo era possibile per chiunque e in qualsiasi momento accedere all’Ospedale, perfino nelle stanze di degenza posizionate lungo il corridoio.”
“Debora purtroppo non è stata l’unica vittima di quel focolaio. Mi batterò – conclude Cesaro – affinché non ve ne siano altre. Noi abbiamo perso tutto e siamo stati condannati all’ergastolo del dolore, ma nessuna altra famiglia dovrà perdere un proprio caro per l’irresponsabilità di chi, per lavoro e per coscienza, la vita dovrebbe preservarla.”
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