Napoli, scomparsa di Cristofer Oliva, la Corte Suprema di Cassazione, quinta sezione penale, ha annullato la condanna a 21 anni di reclusione inflitta a Fabio Furlan.
Il giovane era stato condannato il 28 febbraio 2020 dalla Corte di Assise di Appello di Napoli nell’ambito del processo sull’omicidio e dell’occultamento del cadavere del suo amico Cristoforo Oliva, per tutti Cristofer. Lo rendono noto gli avvocati di Furlan, Dario Vannetiello del Foro di Napoli e Luigi Petrillo del Foro di Avellino. La Suprema Corte ha anche rinviato il giudizio davanti ad un’altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. Furlan e’ oramai da decenni accusato di aver nel lontano novembre 2009 sequestrato un suo amico, Cristofer, commesso l’omicidio ed occultato il cadavere, mai più trovato.
“A distanza di quasi tredici anni, – fanno sapere i due legali – della vittima non vi e’ alcuna traccia. Un delitto che ha portato nel corso del tempo ad emettere ben quattro sentenze di condanna da parte dei giudici di merito, la prima ad anni 30 di reclusione. Per ben due volte la Suprema Corte è intervenuta per stabilire che le motivazioni sottese alla affermazione della penale responsabilità espresse da vari giudici partenopei erano da censurare”.
Un caso di interesse nazionale , oggetto alcuni anni orsono anche della nota trasmissione della Rai “Chi l’ha visto” atteso che la difesa sostenne ed ancora sostiene che non può escludersi un allontanamento volontario di Cristofer.
In cassazione la difesa ha insistito sulla necessità di acquisire la registrazione di una video-ripresa che ritrarrebbe la vittima venti giorni dopo la scomparsa, grazie alle telecamere collocate nei pressi di una stazione della metropolitana.
Non solo, andrebbero adeguatamente ri-valutati i tabulati elativi agli agganci del telefono in uso a Cristofer il giorno della scomparsa.
Non solo, altra consulenza prodotta dalla difesa e che stata correttamente avrebbe evidenziato che, nei due anni successivi al delitto, l’account del profilo personale sarebbe stato attivo, aggiungendo circa 400 agganci con donne sudamericane.
Ma, a distanza di quasi tredici anni, della vittima non vi è alcuna traccia, tanto da aver indotto i familiari della vittima all’avvio della procedura della morte presunta già molti anni orsono.
Un delitto che ha portato nel corso del tempo ad emettere ben quattro sentenze di condanna da parte dei giudici di merito, la prima ad anni 30 di reclusione.
Ma, quando la vita del giovane ed incensurato accusato sembrava precipitare, con all’orizzonte un ventennio da trascorrere nelle patrie galere, è intervenuta per ben due volte la Corte di Cassazione a stabilire che le motivazioni sottese alla affermazione della penale responsabilità espresse da vari giudici partenopei erano da censurare, condividendo i Supremi Giudici le sapienti argomentazioni del collegio difensivo.
Infatti, un primo annullamento si verificò in data 24.06.2016, allorquando la prima sezione della Suprema Corte, annullò la sentenza di condanna ad anni 23 e mesi 6 inflitta dalla Corte di assise di appello in data 11.05.2015, disponendo un nuovo giudizio, sempre grazie anche ai motivi di impugnazione introdotti con successo dal cassazionista Dario Vannetiello che risulta aver difeso Furlan solo innanzi ai giudici capitolini.
Nell’esperienza giudiziaria rarissmi sono i casi di omicidio nei quali la Corte di cassazione ha annullato per ben due volte una sentenza di condanna per un delitto così grave.
E così dovrà procedersi presso il palazzo di giustizia partenopeo addirittura al terzo giudizio di appello.
Andrà nuovamente verificata la validità della ipotesi accusatoria fondata sulle dichiarazioni degli amici della vittima, sugli agganci alle celle telefoniche dei telefoni in uso alla vittima ed al ritenuto carnefice, indizi che sarebbero rafforzati da un alibi dell’imputato ritenuto falso.
Sullo sfondo una pluralità di moventi che pare non emergano con la dovuta chiarezza : gelosia per una ragazza contesa ed interessi divergenti in una attività di traffico di stupefacenti.
Di estremo interesse sarà apprendere le ragioni che hanno portato la cassazione alla sorprendente nuova bocciatura della condanna.
Nel frattempo l’accusato, allo stato, nonostante la giuridica esistenza della pesantissima condanna inflitta dai giudici di primo grado, continua a vivere all’estero in libertà essendo, grazie alla regressione del processo, da tempo stato scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
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