Dagli egizi ad oggi, continua la battaglia millenaria dell’uomo contro la zanzara. Presente in quasi tutte le case degli italiani, eppure nessuno sa né chi l’abbia inventata né quale sia la sua storia. Parliamo della zanzariera. Sembra assurdo, ma alla domanda “Chi ha inventato la zanzariera?” non sa dare una risposta esaustiva Wikipedia o la “rete”.
Infatti, anche affidandosi alla “sapienza” del web, non si riesce a risalire al suo primo inventore e a risolvere il mistero. Un mistero che, nell’eterna lotta fra l’uomo e la zanzara, ha origini millenarie.
Ma procediamo con ordine, e proviamo a risalire alle sue origini. Gli uomini, da sempre, hanno cercato di difendersi da questo insetto (anche contrattaccando) responsabile della malaria che ancora oggi causa 200 milioni di casi all’anno e oltre 500 mila decessi.
Già nell’antica Pompei o in epoca egizia, ad esempio, è possibile ammirare degli affreschi riproducenti dei veli o dei drappi utilizzati come protezione. Ma, da quel momento in poi, anche analizzando le epoche moderne, c’è un vuoto da colmare.
Ad ogni modo, il primo successo nella disputa uomo vs zanzare arriva con la scoperta del DDT, ovvero il para-diclorodifeniltricloroetano. Fu il primo insetticida moderno e venne usato dal 1939. In Italia si ricorda il suo utilizzo in Sardegna, dove ne consentì l’eradicazione. La sua scoperta va attribuita al chimico svizzero Paul Hermann Muller, scoperta che gli valse anche il premio Nobel.
Ma se pensiamo all’anti-zanzara per antonomasia, forse la prima cosa che ci viene in mente è il mitico zampirone, la spirale verde che mentre brucia tiene lontano gli insetti succhiasangue.
Il “papà e la mamma” di questa rivoluzionaria invenzione sono il farmacista veneziano Giovanni Battista Zampironi e la giapponese Yuki. Nel 1862, a soli 26 anni, Zampironi fondò il primo laboratorio farmaceutico per la produzione della zampirina, un impasto di polvere di piretro, radice di altea, nitrato di potassio, gomma adragante e di altre sostanze addensanti, assemblati a forma di cono.
Tale cono, però, era distante anni luce dallo zampirone a spirale che conosciamo oggi. Il passaggio di forma va attribuita a un imprenditore giapponese della fine ottocento, Eiichiro Ueyama che aveva iniziato a commercializzare dei bastoncini di incenso a base di polvere di piretro.
I bastoncini però bruciavano rapidamente ma grazie alla genialità di sua moglie Yuki, probabilmente ispirandosi a un serpente attorcigliato, questi presero la forma a spirale consentendogli di bruciare fino a 7 ore, contro i 40 minuti del bastoncino del marito e i pochi minuti del cono di Zampironi.
La genialità di Zampironi, rispetto alla giapponese, fu quella di riuscire a portare la sua idea da intuizione di laboratorio a prodotto di mercato venduto in tutto il mondo, grazie a un eccellente lavoro pubblicitario e di marketing.
Genialità e ingegno tipicamente italiano che riguarda anche la storia del papà della “zanzariera moderna”, ovvero quella di Sergio Marcantoni che con la sua rete plissettata (coperta da brevetto), ha rivoluzionato il mercato moderno, con esportazioni in oltre 50 Paesi nel Mondo, compresi gli Stati Uniti. Un’invenzione, però, che ha avuto bisogno di quasi 15 anni di lavoro e un colpo di fortuna.
Marcantoni aveva un lavoro “fisso” ben retribuito, una moglie, un figlio e un secondo in arrivo. Ma non si sentiva felice. Così, con un colpo di follia, si licenzia, convinto che da “grande” avrebbe fatto l’inventore, inventando una zanzariera rivoluzionaria, simile alle tende plissé, ovvero più morbida, con un sistema di aggancio diverso, meno pericolosa ma soprattutto resistentissima (resiste anche alle pallonate – “provate per credere”, direbbe il mitico Guido Angeli).
Ma c’era un problema: le comuni reti usate ai tempi per le zanzariere venivano realizzate in materiali come la plastica, il polietilene o il metallo. Materiali poco adatti a resistere al calore generato da una macchina plissettatrice.
“Il problema principale con le zanzariere a rullo – racconta Marcantoni – era ed è tuttora, la tensione che viene accumulata nella molla quando vengono aperte o richiuse, perché diventano molto pericolose! Così ebbi un’intuizione: creando qualcosa di analogo alle tende plissé, avrei potuto fare in modo che queste si fermassero a qualunque altezza, senza il rischio di dare vita a una sorta di tagliola. Decisi anche che l’apertura, invece che dall’alto verso il basso, dovesse avvenire lateralmente e in maniera “delicata”.
Purtroppo, in qualsiasi parte del mondo esponessi il mio progetto, nessuno riusciva a realizzarlo. “Quei meccanismi di movimentazione e quella rete plissé sono una follia”, mi dicevano tutti. “Non gliela realizzerà nessuno!”. “E va bene”, pensai, “allora me la faccio da solo”. Comprai una macchina per plissettare la rete e, dopo infiniti tentativi, ho dato vita quello che avevo sempre visto nella mia mente”.
Innovazione Made in Italy che deve il suo successo anche a un incidente: “Un giorno un collaboratore, mentre puliva la macchina per plissettare la rete, accidentalmente ci fece cadere sopra un altro liquido e, convinto d’aver creato un danno, iniziò a disperarsi. In realtà il giorno dopo, controllando la rete plissé, ci rendemmo conto di aver trovato la formula magica che cercavamo da anni. La rete era diventata ancora più morbida e flessibile. Oggi, in azienda, quell’impiegato è visto come un eroe!”.
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