La foto storica dell'arresto del boss Michele Zagaria all'epoca capo del clan dei Casalesi
“Della pen-drive di Michela Zagaria non ho mai avuto conoscenza”, ma il giorno della cattura del boss primula rossa dei Casalesi, avvenuta il 7 dicembre del 2011, “c’era una grande ressa attorno al covo a Casapesenna”.
Lo ha riferito in aula l’ex capo della Squadra Mobile di Caserta, Angelo Morabito nel corso del processo sulla sparizione della pen drive del capo dei Casalesi, Michele Zagaria dal covo di Casapesenna in cui il boss fu catturato il 7 dicembre 2011. Si tratta di uno degli episodi piu’ controversi avvenuti il giorno del maxi-blitz.
Poi l’elenco delle persone che sono entrate, una dopo l’altro: “Ricordo fu Vittorio Pisani il primo a entrare come richiesto dallo stesso Zagaria, poi un paio di suoi uomini, quindi Federico Cafiero De Raho, allora procuratore aggiunto, che mi sembra fu il quarto; non ricordo se Oscar Vesevo entro’ nel bunker, e comunque di quella pen-drive non ho mai avuto conoscenza”.
Nel dibattimento, in corso al Tribunale di Napoli Nord ad Aversa, e’ imputato il poliziotto Oscar Vesevo, all’epoca della cattura di Zagaria in servizio alla Squadra Mobile di Napoli. Morabito ha riferito di non avere informazioni sulla pen drive incastonata in un ciondolo a forma di cuore con pietre Swarovski mai ritrovata. A puntare il dito contro Vesevo soprattutto Rosaria Massa, moglie di Vincenzo Inquieto, la coppia che ospitava Zagaria nel bunker dentro la loro casa via Mascagni a Casapesenna. La donna ha detto che il giorno della cattura di Zagaria vide Vesevo che prendeva la pen drive.
Per l’accusa – sostituito Maurizio Giordano – Vesevo si sarebbe impossessato del supporto per poi rivenderlo, anche se la persona che – secondo la Dda – avrebbe acquistato il supporto per 50mila euro da Vesevo e’ stato assolto da questa specifica accusa in un altro processo gia’ celebratosi. Per la difesa di Vesevo (avvocato Giovanni Cantelli), le parole di Morabito confermerebbero la circostanza che l’enorme quantita’ di persone delle forze dell’ordine presenti nel covo renderebbe molto difficile la ricostruzione di episodi come il presunto furto della pen drive.
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