A quasi nove anni dalla storica rinuncia al pontificato – 11 febbraio 2013 -, dalla natia Baviera si allungano sulla figura del Papa emerito Benedetto XVI ‘ombre’ sulla gestione dei casi di pedofilia negli anni in cui era arcivescovo di Monaco e Frisinga, tra il 1977 e il 1982.
Una bufera nella bufera, si potrebbe dire, dal momento che per la prima volta un rapporto indipendente sui casi di abusi sessuali sui minori commessi da chierici chiama in causa direttamente, per presunte negligenze od omissioni, la figura di un Pontefice, peraltro ancora in vita, seppur “emerito”. E se l’indagine promossa dall’arcidiocesi bavarese sull’arco temporale dal 1945 al 2019, condotta dallo studio legale Westpfahl-Spilker-Wastl, come ha gia’ fatto quella sull’arcidiocesi di Colonia scuote nel profondo la Chiesa tedesca, i suoi riflessi negativi si estendono ancora alla Chiesa universale, di cui Joseph Ratzinger e’ stato il pastore supremo, dopo essere stato per 24 anni custode massimo della dottrina cattolica, quale prefetto della Dottrina della Fede nel pontificato di Giovanni Paolo II.
Un corto circuito da far tremare i polsi, quello prodotto oggi dai quattro casi di “comportamenti erronei” attribuiti all’allora arcivescovo Ratzinger, pur prontamente respinti dallo stesso Papa emerito in una memoria allegata al dossier. Una smentita, comunque, che i legali incaricati dall’arcidiocesi ritengono “poco credibile”, avendo Ratzinger sostenuto di non essere stato presente a una seduta importante nel 1980, nella quale si decise di ammettere un prete pedofilo nell’arcivescovado di Monaco e impiegarlo nella cura delle anime. Sempre l’allora arcivescovo, stando al rapporto, non avrebbe intrapreso nulla nei confronti dei quattro religiosi accusati di abusi, in due casi documentati perfino da tribunali statali. I due preti sarebbero rimasti attivi nella diocesi, senza che nulla fosse intrapreso sul piano del diritto ecclesiastico. Inoltre, un interesse per le vittime da parte di Ratzinger “non e’ stato ravvisabile”.
Colpi pesanti come macigni, davanti ai quali il Papa emerito reagisce per ora, in attesa di conoscere il rapporto di oltre 1.000 pagine, esprimendo “il turbamento e la vergogna per gli abusi sui minori commessi dai chierici”, e manifestando “la sua personale vicinanza e la sua preghiera per tutte le vittime, alcune delle quali ha incontrato in occasione dei suoi viaggi apostolici”, come dichiara il suo segretario mons. Georg Gaenswein. Secondo il dossier, proprio Ratzinger – che ora, a quasi 95 anni, trascorre i suoi giorni nella quiete dell’ex Monastero Mater Ecclesiae – potrebbe essere incorso allora in quella che era la prassi dei decenni passati: occultare, coprire, insabbiare, tutt’al piu’ spostare i pedofili altrove (dove poi reiteravano gli abusi), solo per difendere il ‘buon nome’ della Chiesa.
Una prassi, e questo va ricordato con forza, che invece e’ stato proprio Papa Benedetto XVI – il primo, da cardinale, a denunciare la “sporcizia” nella Chiesa – a spezzare negli anni del suo Pontificato, intraprendendo con grande sforzo e faticosa determinazione la strada della trasparenza e dell’ascolto delle vittime, e a scoperchiare l’autentico ‘vaso di Pandora’ della pedofilia nel clero. Una strada continuata con ulteriore risolutezza e tenacia dal successore Papa Francesco, inflessibile sulla linea della “tolleranza zero” sia sulla condanna dei colpevoli, come anche sulla responsabilita’ e punibilita’ dei vescovi (accountability) per le vecchie omerta’ e coperture, che ha portato a mettere praticamente sotto giudizio interi episcopati, si veda solo la vicenda esemplare del Cile.
Su un aspetto, comunque, nel susseguirsi dei vari rapporti nazionali e delle migliaia di casi di preti pedofili e relative coperture che vengono alla luce, Bergoglio invita alla prudenza, con un accento che potrebbe riguardare anche il dossier su Monaco. “Quando si fanno questi studi, dobbiamo essere attenti nelle interpretazioni, che si facciano per settori di tempo. Quando si fa su un tempo cosi’ lungo – avvertiva il 6 dicembre scorso, durante il volo che lo riportava in Italia dalla Grecia -, c’e’ il rischio di confondere il modo di sentire il problema di un’epoca, 70 anni prima dell’altra. Vorrei soltanto dire questo, come principio. Una situazione storica va interpretata con l’ermeneutica dell’epoca, non con la nostra”
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