Gomorra 5 atto finale: Ciro e Genny sono morti sulla spiaggia uno accanto all’altro.
Si sono difesi fino alla fine facendo scappare e salvare Azzurra e il piccolo Pietro. Ricco di colpi di scena con il male ovvero con la camorra che si sconfigge da sola. Con la morte di tutti i protagonisti della quinta serie ovvero del boss di Ponticelli il Maestrale, del Munaciello ed anche di Nunzia, la moglie del Galantuomo.
Tutti morti perché niente è come prima e anche perché non ci saranno colpi di scena.Finisce un’epoca, finisce una stagione che ha aperto nuovi orizzonti internazionali al cinema d’azione italiano. Un successo planetario.
Uno sfondo nero con il volto di Genny e Ciro e in sovraimpressione le parole di saluto degli attori che li hanno interpretati, Salvatore Esposito e Marco D’Amore. Cosi’ Sky aveva lanciato, con una pubblicita’ sulle pagine dei quotidiani, i due episodi finali della stagione conclusiva di Gomorra.
“Caro Genny, sette anni ero solo un ragazzo di periferia che sognava di fare l’attore – sono le parole di Salvatore Esposito -. E per realizzare quel sogno ti ho dato il mio corpo, la mia voce, la mia anima. Ti ho dato tutto me stesso. Il tuo dramma e’ stato il mio dramma, le tue ferite hanno segnato anche me. Abbiamo vissuto ciascuno lo vita dell’altro.
Lo stesso amore per Azzurra e il piccolo Pietro, lo stesso preciso dolore per la morte di Ciro. Cosi’ mi hai reso un attore migliore, certamente un uomo migliore. Ora pero’ tutto quello che abbiamo tenuto stretto, dobbiamo lasciarlo andare.
Domani realizzeremo che non ritorna mai piu’ niente, ma forse e’ questa la nostra piu’ grande conquista. Forse ci mancheremo, forse ci rivedremo. Intanto quel ragazzo che inseguiva il suo sogno e’ diventato l’uomo che lo ha realizzato. Amico mio, oggi dobbiamo lasciarci, ma io e te non ci perderemo mai”.
“La stanza e’ buia, una luce tenue filtra dal lucernaio – scrive Marco D’Amore -. C’e’ odore di sigarette, spente accese mille volte. Stai seduto in un angolo, mi dai le spalle. Io in piedi a pochi metri. Silenzio.
Ti passi una mano sul cranio lucido. Poi come fai tu, ti volti appena, mi guardi, i tuoi occhi brillano di una luce violenta. Vieni vicino. Riduci la distanza con quel modo che hai di arrivare ad un centimetro dal volto, il collo proteso in avanti. Vorrei dirti tante cose, abbracciarti forse. Ma so che non posso nulla.
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Sei tu il protagonista. Il tuo sguardo e’ duro, come se mi rimproverassi qualcosa. Poi d’improvviso sorridi, come poche volte hai fatto. Mi dai due piccoli buffetti sul volto. “Fa o’ bravo”, dici. Poi cammini fino alla porta, l’apri e te la chiudi alle spalle senza voltarti”.
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