Circa il 60 per cento di ragazzi di eta’ media di 19 anni che vivono nelle zone della Terra dei Fuochi corrono ”rischi riproduttivi importanti”.
E’ l’allarme lanciato dalla Società italiana di Riproduzione Umana (Siru) in occasione del IV Congresso Nazionale che da oggi e fino al 16 ottobre si svolge a Napoli. I dati sono il frutto del progetto EcoFoodFertility, condotto per due anni in aree d’Italia altamente inquinate, sostenuto dal ministero della Salute e da diversi enti di ricerca tra cui il Cnr, l’Iss ed Enea.
”Il liquido seminale – ha spiegato Luigi Montano, presidente area andrologica – e’ un ottimo marker, indicatore di salute ambientale del territorio. Abbiamo compiuto ricerche in giovani sani che vivono in zone a diversa pressione ambientale in Campania e altre regioni italiane e i dati indicano rischi riproduttivi molto importanti per i giovani che abitano nella Terra dei fuochi, nell’area di Brescia e nella Valle del Sacco del frusinate. Dalla ricerca si evince che sui problemi riproduttivi non incidono solo gli stili di vita ma anche i fattori ambientali”.
Da qui la proposta al Governo di iniziare una grande campagna di prevenzione rivolta agli adolescenti. La ricerca ha fatto emergere alterazioni degli spermatozoi in oltre il 60 per cento dei casi, con una motilita’ progressiva degli spermatozoi inferiore rispetto ai parametri fissati dall’Oms. La Siru mette in luce anche un problema culturale che riguarda soprattutto il Sud dove si affrontano simili tematiche ”troppo tardi e nel momento in cui si decide di avere un bambino e a volte puo’ essere troppo tardi per una terapia”.
”Le coppie infertili impiegano quattro anni da quando chiedono aiuto per avere un figlio all’inizio di una terapia per l’infertilita’ – ha affermato Antonino Guglielmino, presidente Siru – E’ chiaro che questo tempo e’ troppo soprattutto considerando che l’eta’ media delle donne che afferiscono ai centri di riproduzione e’ di 36,7 anni. Pertanto e’ necessario accelerare il processo di approvazione delle Linee Guida cliniche sulla Pma e attivare i PDTA adeguati per sostenere una coppia nel percorso di ricerca di un figlio, ridurre i tempi di presa in carico e individuare eventuali patologie che ostacolano la fertilita’, garantendo sicurezza e appropriatezza delle cure in maniera omogenea da Nord a Sud”.
I numeri dicono che in Campania, cosi’ come a livello nazionale, almeno il 15 per cento delle coppie in eta’ fertile deve ricorrere a terapie. ”Purtroppo – ha concluso Stefania Iaccarino, coordinatrice del Comitato Sud e comitato Campania – in Campania non c’e’ una risposta adeguata che sia accessibile in maniera indiscriminata a tutte le coppie perche’ c’e’ la realta’ del pubblico e quella del privato ma manca la realta’ del privato convenzionato che darebbe la possibilita’ ai cittadini di poter scegliere un’assistenza anche in strutture diverse con un adeguato supporto”.
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