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Napoli e l’antico Egitto: storia, culti e credenze

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Le innumerevoli attestazioni nel corso del II sec. a.C. del culto di Iside a Neapolis, fanno supporre con ampia ragionevolezza l’esistenza di un tempio dedicato alla dea all’interno delle mura urbiche.

Lo stretto rapporto che intercorre tra le città costiere campane e il più importante scalo commerciale marittimo, l’isola di Delo, in cui sono state ritrovate epigrafi di campani (puteolani e neapolitani) praticanti culti egizi, testimonia come l’isola sia stata un importante viatico di trasmissione cultuale oltre che commerciale. La presenza stanziale in città di una florida colonia di alessandrini è ulteriormente attestata da fonti letterarie ed epigrafiche che la collocano nella regio Nilensis, l’attuale vico degli Alessandrini (piazzetta Nilo), la cui toponomastica è rimasta invariata anche in epoca medievale.

Nei suoi pressi fu trovato il basamento del I sec. d.C. con iscrizione dedicatoria a Iside da parte di un personaggio di rango senatorio, tale Marco Opsio Navio, che conferma l’esistenza di un Iseo risultante dal sincretismo tra Apollo, che all’epoca era divinità patria cittadina, ed Horus-Arpocrate.

Inoltre i cittadini napoletani sono ancora fortemente legati alla statua del dio Nilo, anche nota come “Corpo di Napoli”, collocata nella omonima piazzetta. Lo storico umanista Bartolommeo Capasso la descrive acefala già dal XV sec. e per tale motivo erroneamente associata alla sirena Partenope, per la presenza di lattanti sul ventre.

Solo in seguito si è compreso che si trattava del dio Nilo, grazie all’identificazione degli elementi tipici della sua iconografia: la cornucopia, simbolo della piena del fiume, portatrice di abbondanza, la sfinge ed il coccodrillo, tipici del paesaggio nilotico, e i lattanti, simbolo degli affluenti del fiume. La statua poi fu integrata con la testa di un uomo barbato, come si ipotizza fosse rappresentato il dio fluviale.

Al culto isiaco cittadino deve ricollegarsi la statua di Iside del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la cui funzione cultuale è indubbia. Ed ancora alla dea Iside è dedicata la sezione egizia del Museo del Sannio, presso il Museo Arcos di Benevento, che racchiude i reperti provenienti dal tempio beneventano della dea, costruito dall’imperatore Domiziano tra l’88 ed il 98 d. C. con materiali provenienti direttamente dall’Egitto.

La qualità e la quantità di questi reperti testimoniano che questo tempio fu uno dei più importanti luoghi di culto nel Mezzogiorno, dedicati alla dea. Tra i siti archeologici più interessanti, inoltre, si annovera il Macellum di Pozzuoli, più noto come Tempio di Serapide, un ampio mercato adiacente il porto della cittadina flegrea.

Nel 1750, durante la campagna di scavo borbonica, fu trovata una statua del dio egizio Serapis e per questo fu impropriamente ritenuto un luogo di culto dedicato a questa divinità, protettrice del mondo sotterraneo e custode di ogni sorta di fecondità, particolarmente quella della terra. Solo durante gli scavi di inizio Novecento si scoprì la reale destinazione del sito: una vasta area rettangolare, che si sviluppava su due livelli, attorno alla quale si concentravano numerose attività di scambio.

Il ritrovamento della statua del dio Serapis, il cui culto fu introdotto ad Alessandria d’Egitto dal re Tolomeo I Lagide, è ulteriore attestazione della profonda commistione di culti e culture in terra campana.

Tracce di questa antica commistione tra culti autoctoni e orientali sono testimoniati, inoltre, dalla presenza di amuleti sacri di attribuzione egizia o egittizzanti, introdotti in Campania dall’VIII secolo a.C. in poi come oggetto apotropaico prima e scaramantico poi: si tratta di scarabei, pendagli semilunati, le statuette di Arpocrate o la mano ‘impudica’, che in Egitto erano infilati tra le bende durante le fasi della mummificazione e in Campania, deposti insieme al corredo personale nelle tombe prearcaiche e arcaiche di bambini e madri, durante il rito della tumulazione.


Articolo pubblicato il giorno 22 Ottobre 2021 - 15:55


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