Esce per Rizzoli “C’era una volta“, il libro nel quale Lello Arena, racconta il suo legame con Massimo Troisi. Una storia con un’aura leggendaria: dagli esordi, per le strade di San Giorgio a Cremano, al grande successo in teatro e in tv con La Smorfia, negli anni ’70, fino ai film mitici come Ricomincio da tre, No grazie il caffè mi rende nervoso, Scusate il ritardo.
Un fiume di aneddoti, tante risate, sin dal primo magico incontro nel 1973 per una recita teatrale alla parrocchia di Sant’Anna e anche le ombre tristi di un rapporto cominciato da minorenni e cementato da anni e anni di convivenza a Roma e che sul finale si era irrimediabilmente perso.
“Ho 67 anni – dice Lello Arena che Troisi chiamava Rafe’ – mi immagino rincitrullito a 90 anni, ora sono all’inizio così ho pensato meglio farlo ora, ma è stata durissima, ho fatto ricerche per due anni, ritracciato documenti e fotografie. Era un atto necessario, per chiarezza. Racconto quello che mi ricordo io, ce ne vorrebbe un altro fatto da Enzo Decaro ad esempio. Troisi è un universo gigantesco, una persona unica, straordinaria nel senso letterale della parola, intransigente a livelli inimmaginabili. Quando vivevamo insieme a Roma era un bene per tutti che si alzasse alle 14 perché una giornata intera con le sue invenzioni, idee, fughe in avanti sarebbe stata impossibile da gestire“.
Un episodio esemplare riguarda gli alieni: Troisi alla finestra che aspetta di vederli per diventare famoso ‘senza fare niente’, che era un po’ il suo mantra di vita.
Nel libro Arena, che con Decaro sta preparando la mostra permanente al Pan, il Palazzo delle Arti a Napoli, fa i conti con i suoi dolori, a tutti i costi.
“È stata la scelta primaria altrimenti non avrei detto sì al libro, nel momento in cui ho accettato non potevo tenere i segreti per me, dovevo raccontare la verità, anche se non ho scritto per quello e i rimpianti restano tutti“.
“Non ho mai capito, per esempio, come e perché non gli sia venuta la curiosità di conoscere la mia prima figlia, Valentina“, scrive Arena che racconta con “il cuore in mano” quando le loro strade presero a dividersi, quasi naturalmente con le rispettive affermazioni da un punto di vista professionale ma incomprensibilmente, quasi come una sfida reciproca a chi teneva di più il gioco, dal punto di vista umano.
Fatto è che a dividerli fu Le vie del signore sono finite: Arena racconta la preparazione del personaggio di Orlando, minuziosa, complessa, dialettica come ogni loro cosa e lo choc della telefonata di Troisi che ci aveva ripensato e comunicava di aver deciso di dare il ruolo a Massimo Bonetti e proponeva un personaggio secondario.
“Gli dico di no e a questo punto si mette in moto qualcosa di spaventoso. Sta di fatto che questo gruppo di eccellenti professionisti, questo fior fiore di geni del cinema italiano, fa arrivare una comunicazione a Massimo nella quale lo si mette in guardia sul fatto che la mia assenza nel film potrebbe creare seri problemi. Anche al film stesso. Massimo, come del resto avrei fatto anche io, reagisce malissimo ma commette un solo errore. Pensa che io faccia parte di questo gruppo di pressione, mentre la verità è che io non ne so assolutamente niente – scrive Arena -.
“Nei giorni successivi, provo per ben tre volte a chiamare Massimo e, non ricevendo risposta, gli lascio dei messaggi nei quali chiedo di poter parlare con lui. Senza risultato” .
Fine della storia, correva l’anno 1987. Sette lunghi anni senza che uno o l’altro facessero gesti di avvicinamento in un gioco di silenzi “terribile, inutile, tragico” dice Arena che non può cancellare una storia incredibile, unica.
Traspare per le oltre 200 pagine del libro, un grandissimo affetto: “quando è morto ho giurato a me stesso di fare qualunque cosa per ricordarlo, essere testimone: ho avuto la fortuna di incrociare la sua luce e ne sono eternamente grato“.
Articolo pubblicato il giorno 11 Ottobre 2021 - 16:45