“Il Poeta che non sa parlare” è il nuovo disco di Nino D’Angelo, cantautore e poeta, icona e simbolo della cultura popolare di Napoli.
L’album in un paio di settimane ha già raccolto il parere positivo di pubblico e critica. “Abbiamo bisogno degli apprezzamenti – ammette candidamente Nino D’Angelo – In questo momento difficile per fare questo disco abbiamo lavorato tanto. Sono due anni che non sappiamo se ci possiamo organizzare per il futuro, ce l’ho con la politica perché quando la pandemia fa mille morti al giorno non puoi fare cadere il governo, poi lasciamo perdere se stavano facendo bene o facendo male, ma non si può fare, è da irresponsabili far cadere un governo durante una pandemia“.
Quello di Nino D’Angelo è un disco estremamente intimo e poetico, a tal punto che ci si chiede se ci sia ancora posto nella discografia moderna, così affollata e frettolosa, per la poesia; “La discografia non vede più i versi delle canzoni – dice ancora D’Angelo – vede i numeri. È cambiato il linguaggio, una volta si faceva attenzione alle belle canzoni, oggi no, oggi siamo tutti numeri di catalogo, prendono un nome e controllano quante visualizzazioni, non dischi, visualizzazioni, fai. È diventato un mercato impuro di visualizzazioni, anche perché ormai la gente le visualizzazioni se le compra. Cose allucinanti”.
“Però – prosegue – i numeri valgono fino ad un certo punto, perché poi la gente sa ascoltare. Io sono un venditore di emozioni, è questo quello che siamo noi che scriviamo canzoni, e finché farò questo mestiere pensando di essere un venditore di emozioni potrò scrivere ancora qualche bella canzone, senno’, se devo fare i numeri, ho sbagliato tutto“.
In realtà Nino D’Angelo negli anni ’80 ha davvero fatto i numeri, ma non è che questo rendesse le cose più semplici per un artista che si è imposto al larghissimo pubblico cantando in napoletano, infatti racconta: “Io mi sono sentito sempre un po’ fuori dal mercato. Negli anni ’80 mi mettevano fuori perché vendevo troppi dischi; avevano ghettizzato il genere che facevo io, come se non facesse parte della musica, non mi facevano fare tanta televisione perché mi ritenevano un fenomeno locale, loro dicevano napoletano, ma io invece rappresentavo tutto il sud, vendevo tanti dischi in Sicilia, in Puglia, non solo a Napoli”.
“Oggi invece – continua – non me ne frega niente, perché finalmente posso cantare quello che voglio io, sono il produttore di me stesso, ormai la mia casa discografica sono io, io faccio tutto, mi assumo tutta la responsabilità. Ma quando sei un cantante che deve fare solo numeri la devi dare qualcosa al pubblico, perché se vuoi fare numeri devi fare quello che ti dice il pubblico, non hai la libertà di fare quello che vuoi tu”.
“Le canzoni di oggi mi appartengono di più, quelle degli anni ’80 appartengono più al pubblico”,
spiega D’Angelo.Forse però questo non vale per il brano che ha rappresentato la vera svolta nella sua carriera e non solo, “Una mattina mi sono svegliato e c’era mia moglie che stava facendo i servizi di casa e aveva addosso un jeans e una maglietta, io la guardai e scrissi ‘Nu Jeans E ‘Na Maglietta; poi le dissi: ‘Sei proprio una donna fortunata, hai sposato un uomo ricco’, anche se io allora non tenevo una lira ancora, le dissi ‘Abbiamo risolto tutti i problemi della nostra vita‘”.
Anche se il successo in lingua napoletana ha creato oggi il disguido che lo lega erroneamente alla dinastia dei neomelodici: “Sì, perché loro provengono da una costola del Nino D’Angelo degli anni ’80 – spiega – ma loro hanno fondato il movimento neo melodico, ma io no, io ero Nino D’Angelo“.
“È una bella parola neomelodico – aggiunge – ma ora è diventato un calderone dove rientra chiunque canta in napoletano e questo non va bene, noi non possiamo fare di tutta l’erba un fascio. Io ho quasi 50 anni di carriera, ho 64 anni, non potrei essere un neomelodico, magari un veteromelodico. Io non c’entro niente con i neomelodici, ma non perché ce l’ho con loro, anzi, ad alcuni voglio bene, alcuni sono proprio bravi, però non c’entro niente, io sono Nino D’Angelo, sono un’altra cosa“.
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