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Fondazione Open, 15 indagati per i finanziamenti al renzismo

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Firenze. La Fondazione Open era la ‘cassaforte del renzismo’ all’interno del Pd nella quale sono arrivate donazioni per oltre 3,5 milioni di euro. Una movimentazione di danaro di circa 7,2 milioni di euro per le iniziative dell’ex segretario Pd e presidente del consiglio e del suo ‘Giglio magico’, dalla Leopolda ai Comitati per il sì al Referendum costituzionale del 2016.

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A due anni dall’inizio dell’inchiesta la procura di Firenze chiude le indagini su Open, la Fondazione di Matteo Renzi quando era segretario del Pd, che sostenne le sue iniziative politiche, tra cui le kermesse della Stazione Leopolda. Secondo i magistrati fiorentini oltre 3,5 milioni di euro di donazioni di denaro, in violazione delle norme sul finanziamento ai partiti, sarebbero finiti nella contabilità di Open fra il 2014 e il 2018. Quindici gli indagati a vario titolo finiti nell’inchiesta,  11 persone fisiche e quattro società. A tutti è stato notificato l’avviso di conclusione indagini e tra loro c’è l’attuale leader di Italia Viva Matteo Renzi, ma anche i suoi fedelissimi del ‘Giglio magico’ a partire dall’ex ministro e sottosegretario Luca Lotti e da Maria Elena Boschi, capogruppo di Italia viva al Parlamento.

Il senatore Renzi è ritenuto dagli inquirenti il direttore di fatto della ex fondazione, è accusato di finanziamento illecito ai partiti in concorso con l’ex presidente di Open, l’avvocato Alberto Bianchi, e con i componenti del cda, gli amici e compagni di strada l’imprenditore e presidente di Toscana Aeroporti Marco Carrai, Luca Lotti e Maria Elena Boschi.

Renzi già parla di “sconfinamento dei giudici in politica”. E commenta: “La Leopolda – afferma – non era la manifestazione di una corrente o di una parte del Pd, ma un luogo di libertà, senza bandiere e con tutti i finanziamenti previsti dalla legge sulle fondazioni. Quando il giudice penale vuole decidere le forme della politica siamo davanti a uno sconfinamento pericoloso per la separazione dei poteri. Loro vogliono un processo politico alla politica. Noi chiederemo giustizia nelle aule della giustizia”.

Ma nell’avviso di conclusione delle indagini che apre di fatto il processo ai 15 indagati se entro 20 giorni non saranno provati fatti a loro difesa, non c’è solo il finanziamento illecito tra i reati contestati nell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Luca Turco e dal pm Antonino Nastasi.

La corruzione è per esempio contestata all’onorevole Luca Lotti: per la procura si sarebbe adoperato affinchè in Parlamento venissero approvate disposizioni normative favorevoli al concessionario autostradale Toto Costruzioni spa, una delle società che finanziava la fondazione di Renzi. In cambio di queste attenzioni il parlamentare, all’epoca dei fatti influente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e pure segretario del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), avrebbe ottenuto finanziamenti per Open. In particolare, sostengono i pm, come ricompensa per l’operato di Lotti, il gruppo Toto avrebbe versato al presidente avvocato Alberto Bianchi, 800.000 euro a fronte di una prestazione professionale fittizia.

Di questa somma, Bianchi avrebbe poi versato 200.000 euro a Open e altri 200.000 al Comitato per il Sì al referendum sulla riforma costituzionale che Renzi peraltro perse, dimettendosi pochi giorni dopo l’esito del voto da Presidente del Consiglio, nel 2016. Per questi fatti oltre a Lotti sono accusati di corruzione Bianchi, l’imprenditore Patrizio Donnini e Alfonso Toto referente di Toto Costruzioni. Sempre in relazione allo stesso episodio, a Toto viene contestato anche il reato di finanziamento illecito ai partiti.

Sia Alfonso Toto che Patrizio Donnini inoltre devono rispondere dell’accusa di traffico di influenze in concorso illecite: per l’accusa, Donnini, si sarebbe fatto pagare da Toto circa 1 milione di euro per una sua mediazione illecita con Luca Lotti. Donnini è accusato anche di autoriciclaggio. Il denaro, e’ la tesi dei pm, fu corrisposto attraverso Renexia spa (gruppo Toto) alla Immobil Green srl amministrata da Donnini che per mascherare la provenienza dei soldi, avrebbe impiegato parte delle somma ricevuta in due società attive nel settore del turismo e in acquisti immobiliari.

Lo schema delle modifiche alle leggi in cambio di donazioni a Open – secondo l’accusa – si sarebbe ripetuto anche con la British American Tobacco Italia.

Tra il 2014 e il 2017 Luca Lotti si sarebbe adoperato su disposizioni normative in materia di accise sui tabacchi lavorati, ricevendo in cambio tra l’altro finanziamenti a Open per oltre 250.000 euro e la nomina di un manager gradito nel collegio sindacale della British American Tobacco spa.

Sempre riguardo ai finanziamenti ricevuti da Open, l’ex presidente Alberto Bianchi è indagato anche per emissione di fatture per operazioni inesistenti e per traffico di influenze. L’ultimo reato viene contestato a Bianchi solo in relazione a una serie di finanziamenti, per una somma complessiva di oltre 100.000 euro, ricevuti da Open dalla Irbm Scienza Park spa.

Nell’inchiesta sono indagati anche l’imprenditore Riccardo Maestrelli, il vicepresidente del cda della British American Tobacco Italia Giovanni Carucci, il responsabile delle relazioni esterne della spa Gianluca Ansalone e Pietro Di Lorenzo. Le società che hanno ricevuto l’avviso di conclusione indagini sono Toto Costruzioni Generali, Immobil Green srl, British American Tobacco Italia spa e Irbm spa.

All’origine dell’inchiesta, che passo dopo passo è arrivata fino all’elenco dei finanziatori di Open, “una singolare e cospicua plusvalenza” da quasi un milione di euro realizzata dall’imprenditore Donnini, che avrebbe poi ceduto a Renexia, società del gruppo Toto Costruzioni, le quote di alcune società green titolari di progetti nel mercato delle energie rinnovabili.

Nella sede del gruppo Toto i militari della Guardia di Finanza trovarono poi tracce di una parcella (un milione di euro) pagata all’avvocato Alberto Bianchi. Una parte di quei soldi (400mila euro) non si sarebbe fermata nelle tasche di Bianchi e dei suoi collaboratori, ma avrebbe proseguito fino alla cassa di Open, di cui Bianchi è stato il presidente dal 2012 fino al suo scioglimento nel 2018. Il successivo passaggio dell’indagine fu la perquisizione a Bianchi nel settembre 2019, con il sequestrato anche della lista completa dei finanziatori della fondazione renziana.

Tra il 2012 e il 2018 Open avrebbe perciò, secondo l’accusa dei pm Turco e Nastasi, agito “in violazione della normativa” con i 7,2 milioni di euro spesi per sostenere l’attività politica della corrente renziana all’interno del Pd.

La Fondazione Open nacque nel 2012, con il nome di ‘Big Bang’ poi modificato, per sostenere le iniziative politiche come la Leopolda di Matteo Renzi e la corsa dello stesso Renzi alle primarie del Pd fino all’approdo a Palazzo Chigi e alla campagna per il si’ al referendum costituzionale. La Fondazione Open aveva sede a Firenze presso lo studio dell’avvocato Bianchi, dove nel settembre del 2019 venne sequestrato l’archivio. Nel consiglio di amministrazione, oltre a Bianchi figuravano Maria Elena Boschi, Marco Carrai e Luca Lotti, all’epoca fedelissimi del cosi’ detto ‘Giglio Magico’ di Renzi.

“Era ora. Fino a oggi ha lavorato la procura, ora la palla passa alle difese”. E’ il commento dell’avvocato Federico Bagattini, uno dei legali di Matteo Renzi, a proposito dell’arrivo dell’avviso di conclusione delle indagini sulla Fondazione open, in cui il senatore di Italia Viva e’ indagato per finanziamento illecito ai partiti.

In serata è arrivato anche una sorta di dichiarazione da fonti interne a Strade dei Parchi, del gruppo Toto a proposito dell’inchiesta sul finanziamento illecito alla Fondazione Open e all’ipotesi di corruzione formulata nei confronti dell’ex sottosegretario Luca Lotti.

“Nessuna rata, dovuta ad Anas, che il concessionario Strada dei Parchi, del gruppo Toto, deve pagare, è stata mai cancellata. La corresponsione delle stesse eè stata posticipata alla scadenza della concessione, nel 2030, maggiorata dell’interesse del 6%, come previsto nelle leggi nazionali 205 del 2017, 145 del 2018 e 156 del 2019”.

Hanno fatto sapere da Strada dei Parchi, concessionaria delle autostrade laziali ed abruzzesi A24 e A25, in merito alla inchiesta. Dalle stesse fonti, emerge che “tali differimenti nei pagamenti furono imposti anche da sentenze della magistratura amministrativa per consentire l’avvio dei lavori urgenti, i cosiddetti antiscalinamento e misu (messa in sicurezza urgente), e per sterilizzare, nel corso degli anni, gli aumenti delle tariffe”.

“Si tratta di interventi imposti al concessionario dal Governo, senza la copertura prevista per legge, siamo fiduciosi che questi fatti, possano essere sufficienti perchè, finalmente, si possa fare chiarezza e, soprattutto, possa emergere la verità su questa vicenda”, – concludono le fonti di Sdp, del gruppo Toto.


Articolo pubblicato il giorno 19 Ottobre 2021 - 22:05



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