Per la Corte di Cassazione è giusto e corretto tassare le mance dei lavoratori dipendenti.
E’ una sentenza che stravolge un principio non scritto ma comunemente considerato come una forma di ringraziamento per il servizio ricevuto. Per la Suprema Corte invece le mance vanno considerate a tutti gli effetti come facenti parte del reddito di un lavoratore e, per questo, vanno sottoposte a tassazione.
E’ il principio di diritto sancito dalla sezione tributaria della Cassazione, con un’ordinanza depositata giovedì scorso nell’ambito di una causa che vede opposti l’Agenzia delle Entrate e un uomo impiegato con mansioni di capo ricevimento in un hotel in Sardegna.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e stabilito, anche ripercorrendo i principi già espressi in una sua pronuncia del 2006 – inerente le mance dei croupiers – che “in tema di reddito da lavoro dipendente le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’articolo 51, primo comma, del dpr 917/1986 e sono pertanto soggette a tassazione”.
Gli ermellini hanno dunque, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, annullato con rinvio la decisione della Commissione tributaria della Sardegna la quale aveva dato ragione al lavoratore, il quale aveva ricevuto un avviso di accertamento per l’anno 2007 per reddito da lavoro dipendente non dichiarato per 83.650 euro corrispondenti a mance.
La Commissione tributaria regionale aveva accolto il ricorso dell’uomo, ritenendo non tassabili le mance, data la loro “natura aleatoria” e in quanto “percepite direttamente dai clienti senza alcuna relazione con il datore di lavoro”. Di tutt’altro avviso la Cassazione, secondo la quale “deve essere condiviso l’assunto dell’Amministrazione finanziaria” per cui “l’onnicomprensività del concetto di reddito da lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche, quindi, come nel caso in esame, non direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo, affidamento”.
Il caso tornerà ora all’esame della Commissione tributaria regionale che dovrà riesaminare la questione sulla base della linea dettata dalla Suprema Corte.
Articolo pubblicato il giorno 2 Ottobre 2021 - 08:15