Napoli. “Perchè una condanna così dura?” questa la domanda rivolta ai giudici della Corte d’Appello di Napoli da Toni Essobti Badre, condannato all’ergastolo il 9 novembre 2020 per l’omicidio del piccolo Giuseppe Dorice, 7 anni, e per il tentato omicidio della sorellina – entrambi figli della sua compagna – avvenuto a Cardito.
Una lunga missiva inviata al giudice di Corte d’Appello, alla vigilia dell’inizio del processo bis, nella quale l’imputato si meraviglia per avere avuto una pena così dura.
Alla madre dei bambini, Valentina Casa, in primo grado erano stati inflitti sei anni di reclusione in quanto ritenuta colpevole solo sotto il profilo omissivo. “Signor giudice, mi scuso per il tempo che le faccio perdere ma vorrei che lei mi possa aiutare a capire perche’ ho ricevuto un trattamento così duro. Ho sempre ammesso le mie responsabilita'”, scrive l’uomo. L’appello presentato dalla Procura contro l’assoluzione di Valentina Casa dalle accuse di omicidio e tentato omicidio è al centro del processo di secondo grado che inizia domani mattina davanti ai giudici della seconda sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. “So che le mie scuse non serviranno a nulla, se non a trovare un po’ di pace – sostiene ancora l’imputato – non so cosa è scattato nel mio cervello, non volevo uccidere ma è scattato il buio”. Il bimbo fu ucciso in casa perche’ aveva rotto la spalliera del lettino nuovo, ma, grazie alla testimonianza della sorellina 12enne ferita, i pm hanno ricostruito uno scenario di violenze quotidiane.
“Le Associazioni Cam Telefono Azzurro ed Akira Ovd che rappresento, affiancandosi al meticoloso e scrupoloso operato della Procura, hanno cercato e cercano, tutt’oggi, di dare concretezza alla richiesta di giustizia nei confronti del piccolo Giuseppe e delle sue sorelline”. Cosi’ in un comunicato le due associazioni Cam Telefono Azzurro e Akira Ovd, rappresentate dall’avvocato Clara Niola, commentano l’avvio domani a Napoli del processo di secondo grado per l’omicidio del piccolo Giuseppe Dorice. “Siamo quindi fiduciosi – continua la nota delle due associazioni – di trovare nel processo penale e nelle sue regole giuridiche la risposta della e alla giustizia, nei confronti di un soggetto (la madre, ndr) che, in re ipsa, vantava quella posizione di garanzia e di tutela che ha sempre omesso di attivare attraverso i suoi silenzi e le sue omissioni”.
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