<strong>José Luis Basso, direttore del coro sancarliano, argentino con genitori italiani, di recente ritornato nel teatro in cui aveva lavorato 25 anni fa, sintetizza i motivi che hanno spinto lui e Ivano Caiazza, consulete musicale del Lirico, a riproporre una tradizione del ‘700, ovvero la Cantata per San Gennaro: “Ripristinare una tradizione, riproporre uno sparito dimenticato. Due piccioni con un colpo. Recuperare e far conoscere patrimonio, attivando anche una ricerca, penso sia dovere del teatro lirico più antico d’Europa, che non è solo mura e un bell’edificio ma anche e soprattutto patrimonio musicale da condividere“.
La prima esecuzione in tempi moderni della cantata per il Santo patrono partenopeo di Gaetano Manna, orchestra e coro del teatro diretti proprio da Basso, vedrà interpreti vocali Maria Grazia Schiavo (Speranza), Lucia Cirillo (Fede), Federico Fiorio (Amor Divino) e Diego Godoy (Genio Celeste).
Il manoscritto con la partitura musicale di Manna è a Cassino “e da Cassino – racconta il direttore del coro del Massimo napoletano – prima del bombardamento dell’abazia fu portato via, come tutte le opere presenti, in casse di acqua minerale verso Spoleto e poi Roma. Quando è ritornato, quello spartito musicale ha generato una ricerca del testo originale che si è concluso nella biblioteca del conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, dove il libretto era entrato direttamente dalla biblioteca del maestro Roberto De Simone. Il puzzle è stato completato anche grazie a Caiazza. E ci siamo tutti emozionati quando nel duomo di Napoli abbiamo fatto risuonare per la prima volta dopo 233 anni quelle note. Musiche favolose, che evidentemente sono state modello all’epoca in tutta Europa, perché riecheggiano, abbiamo scoperto, in Mozart e Rossini e accennano un inizio di romanticismo“.
“Naturalmente il diapason non è lo stesso, gli strumenti sono diversi e con altre intonazione – spiega Basso – ma tutto il repertorio del secolo 18esimo può essere eseguito o adoperando strumenti e diapason moderni o seguendo una ricostruzione filologica. Per me, tutte le due proposte sono valide. Il requiem di Mozart o la nona di Beethoven del resto si fanno con strumenti e diapason moderni“. La parte vocale, “è meravigliosa, con arie quasi da opera, e richiami che fanno pensare all’Idomeneo, alla Clemenza di Tito e persino al Don Giovanni, specie nei recitativi. Al cast ho chiesto anche improvvisazioni in quei punti in cui la partitura mostra una corona e un punto, dovve quindi era previsto“. Il contralto, all’epoca parte affidata a un castrato, qui è di un controtenore.
Composta nel 1788, la Cantata per San Gennaro di Gaetano Manna, nipote di Gennaro e protagonista dell’età aurea della scuola musicale napoletana, si inserisce nel percorso di riscoperta e valorizzazione del patrimonio settecentesco napoletano, indissolubilmente legato alla storia del San Carlo.
Un patrimonio nato all’indomani della peste del 1630, e soprattutto dell’eruzione del Vesuvio nel 1631, evento che elevò definitivamente san Gennaro al rango di protettore ufficiale della città che aveva allora già altri 20 santi patroni.
La cappella in duomo detta del Tesoro di San Gennaro, arricchita con affreschi di grandi pittori come Lanfranco e Domenichino, fu inaugurata nel 1646, lo stesso anno in cui fu creata la sua cappella musicale che partecipava alle tre feste annuali del santo, che si svolgevano all’aperto con luminarie e grandi apparati fino al pieno Ottocento.
Per due secoli ciascuna delle feste divenne occasione di musiche commissionate ai maggiori compositori del momento, con un enorme seguito popolare. Nei testi delle Cantate che venivano intonati in quelle occasioni figurava spesso accanto a Gennaro la sirena Partenope, altro simbolo della città. Il prossimo appuntamento sarà nel settembre 2022 con la Cantata per San Gennaro del 1775 di Pasquale Cafaro, altro grande rappresentante della tradizione musicale napoletana.
Articolo pubblicato il giorno 29 Settembre 2021 - 18:20