«Parlare di pediatri di famiglia che lavorano in smart working è una banalizzazione pericolosa, che rischia di esacerbare gli animi a scapito del benessere dei bambini. Il modello “me contro te” va bene per le clip sui social, ma non certo quando si parla di salute, un tema che dovrebbe vedere genitori e medici dallo stesso lato della barricata».
A stigmatizzare l’attacco ad un’intera categoria mosso dal Movimento Italiano Genitori (Moige) sono il vice presidente nazionale FIMP Antonio D’Avino e la segretaria regionale Giannamaria Vallefuoco. Il punto di vista della Federazione Italiana dei Medici Pediatri è chiaro: i circa 7.000 pediatri di famiglia italiani hanno da sempre l’obiettivo di tutelare il diritto alla salute dei minori e la stragrande maggioranza di loro ha continuato a lavorare incessantemente presso i propri studi nel corso di tutta la pandemia.
All’accusa di essere passati ad un modello di smart working, D’Avino e Vallefuoco chiariscono che «si sono usati consulti a distanza solo in alcuni casi selezionati e in specifiche condizioni cliniche. La volontà dei pediatri è di proseguire nell’assistenza dei bambini italiani in presenza, come durante quest’anno e mezzo, ma è importante farlo in sicurezza. Il Ministero della Salute – chiariscono – ha indicato con precisione quali sono i sintomi più comuni di Covid e ha specificato che il tampone rino-faringeo è il solo test diagnostico che consente di escludere o confermare l’infezione».
Poi un nuovo invito a battersi tutti per lo stesso scopo. «Nella lotta alla pandemia – chiariscono D’Avino e Vallefuoco – i genitori dei piccoli pazienti hanno un ruolo cruciale, solo accetando un patto di corresponsabilità si faranno gli interessi dei minori». Una corresponsabilità che rinsalda il rapporto di fiducia tra la famiglia e il pediatra che si prende cura del minore dalla nascita sino all’adolescenza.
«Il pediatra di famiglia – concludono dalla FIMP – sa bene quali sono gli indicatori clinici per una visita, pretendere una visita per del “catarro” è chiaramente una richiesta inappropriata che non può essere accolta. Serve invece la massima collaborazione e comprensione da parte dei genitori, affinché vengano evitate possibili e pericolose esposizioni al Covid 19 nelle sale d’attesa, cosa che metterebbe a rischio la salute di tutti i bambini in attesa di essere visitati. Le regole esistono non per un capriccio dei pediatri, ma per tutelare i molti bambini estremamente fragili che potrebbero pagare a carissimo prezzo un contagio da Covid».
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