Per oltre un anno sono rimasti nel Reparto Nilo insieme ad alcuni degli agenti che li avevano picchiati selvaggiamente, ora 30 delle vittime dei pestaggi del 6 aprile 2020 sono stati trasferiti in altre carceri campane come Carinola (Caserta) e Ariano Irpino (Avellino) e in istituti di altre regioni tra i quali quelli di Modena, Civitavecchia e Perugia. La decisione è stata presa dal Dap d’intesa con la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, si tratta di detenuti vittime delle violenze ma non tutti hanno però denunciato.
La decisione sul trasferimento arriva dopo quella di sospendere 25 agenti che non erano stati attinti da misura cautelare, pur essendo indagati, e che sono rimasti a lavoro nel carcere casertano a contatto con detenuti vittime dei pestaggi dell’aprile 2020. Ma la decisione del trasferimento dei detenuti non ha mancato di suscitare polemiche, anche alla luce del fatto che nei prossimi giorni è attesa a Santa Maria Capua Vetere la commissione ispettiva.
“Per un anno denuncianti e denunciati sono stati faccia a faccia – ha detto la garante dei detenuti di Caserta Emanuela Belcuore – e ora si prende questa decisione nel momento in cui gli agenti coinvolti nei pestaggi stanno quasi tutti al carcere, ai domiciliari o sono stati sospesi. Ora non ha più senso, anzi avrebbe avuto senso spostare gli agenti. Ho capito che questa cosa è stata fatta per tutelare i detenuti, ma è un danno oggettivo per i loro familiari, che non possono piu’ incontrare i propri congiunti in carcere e devono sobbarcarsi spese enormi e lunghi viaggi”. “Peraltro gli agenti del carcere di Santa Maria Capua Vetere sono sotto organico per cui i familiari hanno difficolta’ a prenotare i colloqui” conclude la Belcuore.
Garanti dei detenuti che sono stati fondamentali per l’avvio delle indagini: fu un detenuto a postare una foto su Facebook delle lesioni patite subito dopo il 6 aprile, quindi il Garante regionale Samuele Ciambriello, grazie ai social e alla segnalazioni ricevute dai familiari dei detenuti, inviò già l’otto aprile, due giorno dopo le violenze, la prima denuncia alla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Quelle denunce hanno portato una settimana fa all’emissione di un’ordinanza cautelare nei confronti di 52 agenti otto dei quali finiti in carcere, 18 ai domiciliari, mentre 23 sono stati sospesi e tre raggiunti dall’obbligo di dimora.
Sul versante della Polizia Penitenziaria invece sale ancora la tensione e dopo lo striscione minaccioso trovato a Roma su un cavalcavia nei giorni scorsi, altri striscioni e manifesti sono apparsi a Cagliari. Su un manifesto attaccato alle colonne del porticato di via Roma a Cagliari si legge: “Non lasciamo soli i detenuti…isoliamo le guardie” ed e’ firmato con una frase che sembra sarda: “kontra is presonis mishunu est solu”. “Le guardie carcerarie, chiamate anche ‘secondini’, – esordisce il testo del manifesto – sono uomini e donne comuni che abitano in mezzo a noi. Ciò che li contraddistingue è la scelta che hanno fatto nella vita: la scelta di chiudere a chiave altre persone per uno stipendio mensile. Ogni tanto viene fuori la notizia che queste guardie pestano e torturano i detenuti – continua il manifesto – il caso di Santa Maria Capua Vetere è solo uno dei pochi… parlano di mele marce… ad essere marcio è il sistema carcerario…la divisa che indossano gli conferisce il potere di reprimere… per strada, nel palazzo di casa al bar… isoliamo le guardie”. Sullo striscione, invece, trovato nel quartiere San Michele, si legge: “Da S. Maria Capua Vetere a Uta. Non esistono mele marce. Il carcere è una tortura”.
E che per i poliziotti della Penitenziaria siano giorni tra i piu’ difficili, lo si evince anche dal primo atto siglato dal provveditore reggente delle carceri della Campania Carmelo Cantone, inviato dal Dap per sostituire il provveditore Antonio Fullone, destinatario di una interdizione dai pubblici uffici, coinvolto nell’indagine sui pestaggi è indagato per favoreggiamento e depistaggio.
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In una circolare, Cantone consiglia infatti agli agenti di recarsi a lavoro in abiti civili e non con la divisa. Una decisione presa per tutelare i componenti del Corpo. Sono inoltre moltissimi, denunciano in una nota congiunta il presidente del sindacato di Polizia Penitenziaria Uspp, Giuseppe Moretti, e il segretario regionale della Campania, Ciro Auricchio, “i messaggi deliranti contro gli agenti della polizia penitenziaria apparsi sui social, messaggi che non sembrano minacce trascurabili, e che stanno sollecitando l’allerta anche per il personale impegnato nelle scorte a testimonianza”. Sulla stessa falsariga Gennarino De Fazio, segretario della UILPA Polizia Penitenziaria, secondo cui “si susseguono gli striscioni e i comunicati diffusi anche da frange eversive e inneggianti all’odio verso il Corpo di polizia penitenziaria e suoi singoli appartenenti. Il clima è sempre più pesante e pericoloso”.
Stamane l’arcivescovo di Napoli, Mimmo Battaglia, ha citato Gandhi a proposito delle violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
“Mi oppongo alla violenza perché, quando sembra produrre il bene, è un bene temporaneo; mentre il male che fa è permanente”. L’arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia cita Gandhi nell’apprendere dei gravi episodi di violenza verificatisi nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere. “Le aggressioni commesse da alcuni agenti della polizia penitenziaria – scrive – non solo sono una violazione della nostra Costituzione che attribuisce alla pena un carattere rieducativo e ai sistemi detentivi di essere fedeli ai principi di umanità, ma rappresentano anche un vero e proprio uragano che ha travolto in modo grave tre comunità a cui sento la necessità di far giungere la mia vicinanza: la comunità dei detenuti, traumatizzati e feriti dalla violenza ma anche danneggiati nel loro percorso educativo alla cui base non può che esservi la costruzione di un’autentica fiducia nei riguardi dello Stato e di coloro che lo rappresentano, fiducia gravemente minata da quanto accaduto”. Il pensiero dell’arcivescovo va anche alla comunità della polizia penitenziaria, “composta per la grande maggioranza da uomini e donne onesti, che adempiono lealmente il proprio dovere, spesso in condizioni di lavoro difficili e poco curate dal punto di vista psicologico”; quindi alla “comunità delle famiglie degli agenti coinvolti, anch’essa travolta dalle pagine di cronaca e provata psicologicamente dal timore di ritorsioni e vendetta”.
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