Otto morti per il crollo della palazzina alla Rampa Nunziante: due assoluzioni e 4 condanne per il crollo e sei condanne e sei assoluzioni per le accuse di falso. “Risposta celere della giustizia” ha detto il presidente del Tribunale di Torre Annunziata Ernesto Aghina.
Si chiude con dieci condanne e sei assoluzioni piene il processo di primo grado per il crollo della palazzina di Torre Annunziata dove morirono otto persone, il 7 luglio del 2017.
Il giudice del Tribunale di Torre Annunziata, Francesco Todisco, ha letto nel pomeriggio il dispositivo di sentenza. Assolti dall’accusa più pesante, quella per il crollo, l’amministratore del condominio Roberto Cuomo e quello che la Procura considerava il proprietario di fatto dell’appartamento dove si stavano realizzando i lavori, Massimo La Franco. Entrambi sono stati condannati ad un anno e 2 mesi con sospensione della pena per un’accusa di falso. Per Cuomo e La Franco difesi dall’avvocato Elio D’Aquino la pubblica accusa Andreana Ambrosino aveva chiesto oltre 9 anni di reclusione, sono gli unici due imputati assolti dall’accusa di crollo colposo.
Pena pesante invece per Gerardo Velotto, proprietario della palazzina crollata il 7 luglio del 2017: il giudice gli ha inflitto una pena di 12 anni e 6 mesi di reclusione, una condanna che va oltre la richiesta del Pm, oltre ad un’ammenda di 45mila euro.
Condanne pesanti anche per Massimiliano Bonzani 12 anni (architetto e direttore dei lavori di fatto nell’appartamento dove poi si sarebbe verificato il cedimento che provocò il collassamento dell’immobile); Aniello Manzo 11 anni e 6 mesi (architetto e direttore dei lavori); Pasquale Cosenza, l’operaio che effettuò i lavori di ristrutturazione, 9 anni e 6 mesi oltre ad un’ammenda di 45mila euro.
Sei le condanne per il reato di falso, oltre a La Franco e Cuomo, il giudice Todisco ha condannato Rosanna Vitiello e Ilaria Bonifacio (1 anno); Marco Chiocchetti (1 anno e un’ammenda di 6mila euro ); Marco Cirillo (1 anno e 6mila euro di ammenda). Per tutti è stata disposta la sospensione della pena.
Assolti invece Roberta Amodio, Rita Buongiovanni, Giuseppe Buongiovanni, Donatella Buongiovanni, Emilio Cirillo e Luisa Scarfato. Tutti erano accusati di falso.
I quattordici imputati rispondevano a vario titolo di crollo colposo, omicidio colposo e falso in atto pubblico. Per gli inquirenti il crollo fu causato dai lavori di manutenzione straordinaria, non autorizzati, eseguiti in un appartamento al secondo piano del palazzo di proprieta’ di Gerardo Velotto, oggi condannato con una pena a 12 anni e sei mesi di reclusione.
Il cedimento fu preceduto dalla comparsa di lesioni e lo sgombero della palazzina, sempre secondo gli inquirenti, avrebbe potuto salvare la vita alle otto vittime. All’alba di quel tragico 7 luglio 2017, sotto le macerie della palazzina persero la vita Giacomo Cuccurullo, Adele Laiola, Marco Cuccurullo (figlio di Giacomo Cuccurullo e Adele Laiola), Giuseppina Aprea, Pasquale Guida, Anna Duraccio, Francesca Guida e Salvatore Guida (figli di Pasquale Guida e Anna Duraccio). Dagli accertamenti della Procura della Repubblica di Torre Annunziata emerse che la licenza edilizia era stata rilasciata, nel 1957, per una villetta bifamiliare mentre in Rampa Nunziate sorgeva invece una palazzina con diversi appartamenti.
Nel processo erano costituiti parte civile oltre ai familiari delle vittime e i proprietari delle abitazioni circostanti anche il Comune di Torre Annunziata.
Alla lettura del dispositivo
attimi di tensione tra i familiari delle vittime e Gerardo Celotto, l’unico imputato presente in aula.”La definizione del processo a carico degli imputati per il crollo del palazzo edificato sulla Rampa Nunziante avvenuto il 7 luglio 2017 segna un importante traguardo raggiunto dal tribunale di Torre Annunziata (Napoli) e dalla locale Procura della Repubblica”. Ha detto il presidente del tribunale di Torre Annunziata, Ernesto Aghina, che commenta la conclusione del primo grado relativo al cedimento nel quale persero la vita otto persone. ‘
‘Le difficolta’ intrinseche nella gestione del dibattimento di non agevole conduzione, caratterizzato da un elevato numero di imputazioni (24) e di testimoni (oltre 120), l’intrinseca difficoltà di una fattispecie ‘tecnica’, sono state gestite con adeguata professionalità ed esperienza seguendo un calendario che ha visto la celebrazione, dal marzo 2019, di ben 40 udienze, di cui alcune svolte presso l’aula bunker di Napoli durante la pandemia, per problemi logistici delle aule del tribunale oplontino”.
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”Grazie anche alla rimarchevole collaborazione dei numerosi difensori impegnati nel processo – conclude Ernesto Aghina – si e’ pervenuti a sentenza in poco più di due anni, un arco temporale che sarebbe stato ancora più breve senza la forzata sospensione dell’attivita’ giudiziaria derivante dal lockdown sanitario. Si tratta naturalmente di un accertamento di primo grado, ma resta il compiacimento per aver offerto una risposta alla forte e comprensibile domanda di giustizia che imponeva tempi consoni alla peculiarità di una tragica vicenda che ha gravemente segnato il territorio del circondario”.
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