Enrico Vanzina, scrittore, giornalista, commediografo, produttore, regista e fotografo, assieme al fratello Carlo ha inciso un marchio di fabbrica sulla commedia all’italiana. Arriverà a Bellizzi per incontrare una generazione a lui molto cara, quella con la quale, negli anni ’60, ha disegnato le più belle storie del cinema. Lunedì 28 giugno, all’Arena Troisi.
Inevitabile il paragone tra i ragazzi degli anni ‘60, quelli di “Sapore di Mare”, senza smartphone ma avevano i juke-box e i ragazzi di oggi, che giocano alla playstation e sognano di diventare youtuber. Nel primo caso i Vanzina trasferirono in pellicola un romanzo di formazione, dettato dalla spensieratezza, oggi i sorrisi sono ancora celati dalla mascherina.
«Quelli degli anni ’60 erano una generazione che non aveva paura di essere diverso l’uno dall’altro. Oggi invece hanno come il timore di essere giudicati e si nascondono nel gruppo. Uscire dal conformismo social li spaventa e quindi si uniformano. Vengo per scoprirli e per chiedere loro quello che nessuno gli domanda: chi sono?» dice il regista.
Vanzina parlerà alla platea del Premio Fabula anche del suo ultimo (capo)lavoro: “Una giornata di nebbia a Milano”, il giallo che tende al grigio delle giornate uggiose del capoluogo lombardo.
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«Dopo aver scritto “La Sera a Roma” (Mondadori) ho voluto ambientare il mio nuovo giallo a Milano, perché è una città che amo e che conosco. Ci ho vissuto e ci ho girato 18 film: la nebbia è una metafora, non esiste più a Milano. Ma mi sembrava un’immagine ottima per un giallo. La nebbia copre e non modifica. Volevo fare un giallo sorprendente e allora ho scelto di togliere la Polizia. Al suo posto, chi indaga, sono due scrittori con l’aiuto dei grandi temi della letteratura perché nei libri sono più veri del vero. Ci hanno spiegato e raccontato quello che muove le passioni umane. Quindi anche quelle che portano a uccidere. È un giallo classico, che tiene legato il lettore fino all’ultima pagina, ma che indaga anche sui rapporti all’interno di una famiglia e sulla vecchiaia», conclude l’autore.
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