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Uccise la sorella per l’onore della cosca: arrestato il figlio del boss

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Uccise la sorella Nunzia per aver tradito il marito con i nemici della famiglia mafiosa, rivale: ventuno anni dopo quel delitto finisce in carcere Alessandro Alleruzzo della famiglia dei Santapaola di Catania.

Una storia agghiacciante quella emersa nel corso delle indagini che questa mattina hanno portato i carabinieri della Compagnia di Paternò ad eseguire una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catania – su richiesta della Direzione distrettuale antimafia – nei confronti di Alessandro Alleruzzo, anni 47, accusato di omicidio volontario pluriaggravato ai danni della sorella Nunzia Alleruzzo avvenuto nel 1995, con l’esplosione di due colpi di pistola cal. 7,65 alla testa.

Alla base dell’omicidio, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, motivi abietti, e cioè quello di riscattare l’onore della famiglia mafiosa Alleruzzo oltraggiata dalle relazioni extraconiugali intrattenute da Nunzia con soggetti criminali ritenuti nemici della stessa famiglia.

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Alessandro Alleruzzo è il figlio del defunto boss Giuseppe Alleruzzo che negli anni ’70 e ’80 guidava il gruppo paternese di cosa nostra, al centro di numerose faide sanguinose e particolarmente cruente, articolazione territoriale della famiglia mafiosa Santapaola di Catania.

omicidio nunziaalleruzzo

L’arrestato è inoltre cugino di Santo Alleruzzo, cl. 1954, detto “a vipera” considerato reggente del clan fino al suo ultimo arresto avvenuto nell’ambito della operazione “Sotto Scacco” condotta da questa Direzione Distrettuale. Negli anni ’80 e ’90 gli omicidi si susseguivano tra le fazioni e lo stesso Giuseppe Alleruzzo, padre di Alessandro, subì il lutto dell’assassinio della moglie e del figlio, episodio che lo spinsero a collaborare con la giustizia.

Il 25 marzo del 1998, militari del Nucleo Operativo della Compagnia di Paternò, a seguito di due telefonate anonime (in carcere, Santo Alleruzzo, aveva intimato ad Alessandro di far ritrovare il corpo della sorella per darle sepoltura), ritrovarono in un pozzo nelle campagne di Paternò nei pressi dell’abitazione di Giuseppe Alleruzzo, dei resti ossei di una donna, in particolare il teschio, dal quale fu riscontrata  la presenza di due fori causati da colpi di arma da fuoco.

La vittima fu identificata in Nunzia Alleruzzo, scomparsa il 30 maggio del 1995 dopo esser stata vista dal figlio di 5 anni uscire di casa con il fratello Alessandro che sarebbe diventato il suo assassino. A svelare il mistero sullo morte della donna sono state le dichiarazioni di tre diversi collaboratori di giustizia – Bonomo Francesco, Caliò Antonino Giuseppe e Farina Orazio -, riscontrate reciprocamente, e comparate con le dichiarazioni rese dai familiari della vittima e dai riscontri in occasione del rinvenimento del cadavere.

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Bonomo ha riferito di aver saputo da Giovanni Messina e da Caliò che l’omicidio di Nunzia Alleruzzo fosse stato commesso dal fratello Alessandro, per riscattare l’onore della famiglia violato dal fatto che la sorella aveva avuto numerose relazioni sentimentali con componenti del clan, abbandonando il marito. Questi particolari sono stati confermati proprio da Caliò il quale ha sostenuto di aver appreso dell’omicidio proprio da Alessandro Alleruzzo che gli aveva raccontato di aver ucciso la sorella, sporcandosi di sangue e terra per averla dovuta trascinare.

Anche il collaboratore Farins ha confermato questa ricostruzione, aggiungendo che tra gli amanti di Nunzia Alleruzzo figurava anche Giovanni Messina, componente del gruppo, che aveva ucciso la madre e che pensava di uccidere lo stesso Alessandro. Ulteriori attività investigative, a seguito della riapertura delle indagini nel 2021 coordinate dalla D.D.A. di Catania ed eseguite dai Carabinieri di Paternò, hanno consentire di sentire a sommarie informazioni i familiari di Nunzia Alleruzzo, alcuni hanno tentato di ritrattare dichiarazioni precedentemente rese.

Sono state inoltre disposte intercettazioni all’interno della cella della Casa Circondariale di Asti dove erano detenuti Giovanni Messina e Salvatore Assinata i quali, a seguito della pubblicazione di articoli di stampa il giorno 09.02.2021 sulla riapertura delle indagini, commentavano confermando l’ipotesi investigativa dell’omicidio in ambito familiare (“mi rissi…o iddi pavunu…e Alessandro è il mandante…ehh…ammazzau…ehh”).


Articolo pubblicato il giorno 4 Giugno 2021 - 10:12

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