In scena, la storia di Celeste di Porto, la giovane fatale, che a 18 anni decise di farsi delatrice dei tedeschi del ghetto romano. La rassegna rientra nell’ambito di La Campania è Teatro, Danza e Musica promossa da ARTEC/ Sistema MED in collaborazione con SCABEC -Società Campana Beni Culturali e Fondazione Campania dei Festival. Per partecipare agli eventi alle Catacombe di Napoli, il costo del biglietto è di 5,00 euro. È necessaria la prenotazione al 3396666426.
I biglietti sono acquistabili presso la biglietteria delle Catacombe, la sera dello spettacolo, previa prenotazione, oppure in prevendita sul sito https://www.vivaticket.com/it/venue/catacombe-di-san-gennaro/512605050
Stella Ria ci riporta al 1925, quando a Roma, nel ghetto ebraico, nacque Celeste di Porto, la “pantera nera”, la bellissima e fatale ragazzina di diciotto anni che, dopo il rastrellamento del ghetto romano ad opera dei tedeschi guidati da Kappler, decide di diventare una delatrice, di vendere gli ebrei: i suoi correligionari. Inizia così un vero e proprio periodo buio per gli abitanti del ghetto italiano. Quelli che venivano salutati con un cenno della mano da colei la quale era riconosciuta come una delle più belle ragazze di Roma, non avevano scampo. E a lei non importava se a finire nelle mani delle camicie nere fossero donne, bambini o uomini. Solo la sua famiglia, doveva essere risparmiata. Ma il padre di Celeste non riuscì a portare questo enorme peso sulla coscienza e si consegnò alle SS. I fratelli, tra cui Angelo, tanto amato, la rinnegarono. Soltanto la madre continuò a volerle bene.
Come spiega l’autore e regista, Fabio Pisano: “Celeste è una figura rara, una ebrea, una ebrea che nella sua psiche evidentemente subì lo scatto del classico “istinto di sopravvivenza” che la spinse a commettere atti orribili contro la sua gente. Spietata, sì, e questo spettacolo non ha alcuna pretesa di assolverla, ma di narrare. Di raccontare ciò che lei fece, sforzandosi di immaginare anche il perché, o inventarlo. Perché alcune storie non lasciano traccia, se non una scritta nel muro di una cella carceraria. Una scritta incisa con un chiodo. E con tutta la rabbia di chi non sa. L’inconsapevolezza di chi è allo scuro di tutto. Ebbene, facendo luce in modo coerente, seguendo quindi la voce di un personaggio scomodo ma reale, ci si pone l’obiettivo di un racconto. Di una narrazione che va, esile, ad infilarsi nell’enorme, smisurato, archivio di un periodo storico che verrà ricordato come un periodo malato”.
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